Le pagelle della puntata del Grande Fratello di sabato 9 dicembre. Una puntata nella quale, come di consueto, regna la noia ma in cui comunque si prova a variare, più o meno, gli argomenti di discussione.
Mirko e Perla, Perla e Mirko: voto Codice Sconto. Sono già pronti per stories, promozioni sui social e, appunto, i famigerati codici sconto. Di cui peraltro Greta Rossetti è maestra.
Cesara Buonamici: voto In differita. Si sveglia sudata e tira in ballo di nuovo un episodio di un paio di puntate fa. E giustamente Signorini le fa notare che scurdammose u passàt e anche basta, visto che il tema è talmente vecchio da risultare stantio.
Sara Ricci: voto Bianco e nero. Va detto che a lei scivola tutto addosso: “24 anni fa Beatrice Luzzi ha contestato il fatto che sono tornata al lavoro subito dopo la morte di mia madre”. L’importante è vivere nel presente.
Fiordaliso: voto Ne voglio una sul comodino. Chi di noi non vorrebbe una Fiordaliso in casa propria? Non grida a sproposito, non accusa, non fa polemiche: più Fiorda per tutti.
Alfonso Signorini: voto Che imbarazzo. “Moana cosa ne pensa? Sonia Sonia. Come ca…o si chiama. Non potete chiamarvi con dei nomi normali?”. E tu non potresti studiare i nomi dei concorrenti del programma che, inspiegabilmente, conduci da anni?
Il confronto fra Beatrice Luzzi e Massimiliano Varrese: voto Ma ancora? Che noia, hanno riscongelato sti due. Forse perché il triangolo Mirko-Perla-Greta anche basta? Chiaramente il confronto fra i due non porta assolutamente a nulla.Che strano.
Rebecca Staffelli: voto Non interrompiamo le ricerche. E’ chiaro che qualcuno la sta cercando da qualche parte, visto che come di consueto in studio risulta desaparecida. La domanda che riecheggia nelle nostre orecchie dall’inizio di questa edizione del reality show è sempre la stessa: era proprio necessario avere questa figura in studio?
Roma, 10 dicembre 2023 – Colpo di scena a Ballando con le Stelle. Nell’ottava puntata dello show di Raiuno del sabato sera, il concorrente Giovanni Terzi ha chiesto la mano della compagna Simona Ventura. "Mi vuoi sposare?", ha chiesto a Simona, accompagnata per l’occasione dai genitori. "Per me questi mesi sono stati entusiasmanti e faticosi dal punto di vista umano e dal punto di vista fisico", dice Terzi. "Proprio in questo luogo volevo dire una cosa a Simona, la donna che mi ha cambiato la vita accogliendo tutti i miei difetti. Se il 6 luglio, vuoi diventare mia moglie...", dice infilando l'anello all'anulare della mano sinistra della compagna. Tra lacrime e commozione, arriva la risposta di Simona: "Sì".
I ribelli houthi dello Yemen, sostenuti dall'Iran, hanno minacciato sabato di attaccare le navi dirette ai porti israeliani se non sarà consentito l'ingresso di cibo e medicinali nella Striscia di Gaza assediata. L'ultimo avvertimento arriva nel contesto di un aumento di tensione nel Mar Rosso e nelle acque circostanti, a seguito di una serie di attacchi marittimi da parte dei ribelli houthi dall'inizio della guerra tra Israele e Hamas, il 7 ottobre. In una dichiarazione pubblicata sui social, gli houthi hanno affermato che "impediranno il passaggio delle navi dirette all'entità sionista" se gli aiuti umanitari non saranno autorizzati ad entrare a Gaza, governata da Hamas. Gli houthi hanno recentemente attaccato navi che sostengono avere legami diretti con Israele, ma la loro ultima minaccia amplia la portata dei loro obiettivi. Indipendentemente dalla bandiera battuta dalle navi o dalla nazionalità dei loro proprietari o operatori, le navi dirette in Israele "diventeranno un obiettivo legittimo per le nostre forze armate", si legge nella dichiarazione. La settimana scorsa, i ribelli hanno attaccato due navi al largo della costa yemenita, tra cui una battente bandiera delle Bahamas, sostenendo che fossero di proprietà israeliana. Il mese scorso, inoltre, le forze ribelli hanno sequestrato la Galaxy Leader, una nave da carico di proprietà israeliana. "Mettiamo in guardia tutte le navi e le compagnie dal trattare con i porti israeliani", si legge nell'ultima dichiarazione degli houthi.
Il governo americano ha approvato "con urgenza", senza passare dal Congresso, la vendita a Israele di quasi 14.000 munizioni da 120 mm per carri armati Merkava utilizzati nella guerra contro Hamas a Gaza, per un valore di 106,5 milioni di dollari. Lo hanno reso noto il Dipartimento di Stato e il Pentagono, confermando cosi' le anticipazioni di stampa.
Roma, 9 dicembre 2023 – Il regime degli ayatollah ha ritirato i passaporti alla famiglia di Mahsa Jina Amini, la curda iraniana di 21 anni arrestata dalla Polizia morale nella metropolitana di Teheran il 13 settembre del 2022 perché indossava il velo lasciando scoperta una ciocca di capelli e morta dopo tre giorni di coma. Tutta la famiglia, il padre Amjad, la madre Mojan Eftekhari e il fratello Kiarash, voleva andare a Strasburgo per partecipare alla cerimonia di assegnazione del premio Sakharov. Nel 2023 il Parlamento Europeo lo ha assegnato a Mahsa Jina e al Movimento ‘Donna, Vita e Libertà’ scaturito dalla sua uccisione. "Ai familiari – ha riferito Chirinne Ardakani, l’avvocato francese degli Amini – è stato vietato di salire sul volo che li avrebbe portati in Francia, benché avessero il visto. I loro passaporti sono stati confiscati". Nella stessa giornata Narges Mohammadi, una nota dissidente iraniana, comincerà uno sciopero della fame nel carcere di Evin, mentre il marito e i due figli a Oslo ritireranno per lei il premio Nobel per la pace. La presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, ha invitato Teheran a fare marcia indietro.
La famiglia Amini è stata al centro delle ‘attenzioni’ del regime anche il 16 settembre, il giorno del primo anniversario della morte di Mahsa Jina. I Pasdaran della Rivoluzione hanno arrestato Amjad sulla porta di casa e lo hanno rilasciato dopo diverse ore. Secondo Fereshteh Rezafair, un’attivista del collettivo ‘Donna, vita e libertà’ di Roma, nella settimana precedente era stato convocato quattro volte dalla polizia. Gli agenti gli avevano ordinato di annullare ogni cerimonia in memoria della figlia, minacciando di arrestare anche Kiarash. Le forze di sicurezza hanno bloccato l’accesso al cimitero di Aichi, il luogo nel quale è sepolta Mahsa Jina. Nel Kurdistan iraniano la polizia aveva invitato i cittadini a non scendere in piazza, chiarendo che chi avesse trasgredito l’ordine sarebbe stato affrontato con le armi da fuoco. Alle parole hanno fatto seguito i fatti. Fardin Jafari, un abitante della zona che aveva osato avvicinarsi al camposanto di Aichi, è stato colpito dagli agenti e ricoverato in ospedale in condizioni critiche.
Nella stessa giornata le forze di sicurezza hanno sparato contro i dimostranti vicino all’Università della capitale e nella centrale piazza Azadi. La polizia ha chiuso gli accessi ai cimiteri nei quali sono sepolti i caduti dopo la morte di Mahsa Jina Amini. Sette detenute nel carcere di massima di sicurezza di Evin, quello nel quale vengono rinchiusi i dissidenti politici, hanno bruciato il loro velo e tenuto un sit in gridando: "Donna, vita e libertà". Le prigioniere hanno anche voluto rendere pubblici i loro nomi. Sono Narges Mohammadi, Sepideh Gholian, Azadeh Abedini, Golrokh Iraee, Shakila Monfared, Mahboubeh Rezai e Vida Rabbani.
Roma, 9 dicembre 2023 – Tra i palazzoni scarnificati nel nord di Gaza dove tutto è polvere e la vita brulicante di inizio ottobre è oramai un vago ricordo, la quiete sembra essere calata come un sipario per alcuni giorni. Si alza la polvere sotto le ruote di un convoglio di auto blindate che a tutta fretta deve portare a termine una missione: portare in salvo 50 milioni di dollari chiusi in cassette di sicurezza in due filiali della Bank of Palestine situate nelle zone più devastate di Gaza entro la fine della tregua e trasferire le banconote, dal peso di una tonnellata, nel sud della Striscia dove centinaia di migliaia di persone in fuga sono stipate come sardine in un lembo di terra di poche centinaia di chilometri quadrati.
"È stato certamente un convoglio inusuale. Surreale ma necessario”, ha spiegato una fonte coinvolta nella missione dal nome in codice ‘Con-Ops Gaza’ al Financial Times, che ha raccontato la storia.
“La missione era prendere quelle banconote e portarle nella parte meridionale dell'enclave, ancora abitata da centinaia di migliaia di palestinesi che versano in condizioni disperate. Perché andasse a buon fine, è stata richiesta la partecipazione dell'Onu, di diverse guardie della sicurezza e l'assicurazione, da parte di Israele, che non ci fossero attacchi. “È stato un piano così elaborato che alcuni dettagli non possono essere rivelati”, ha spiegato la fonte al quotidiano britannico.
L'idea sarebbe nata dai funzionari della Bank of Palestine, che hanno visto nella tregua la possibilità di recuperare le banconote da 200 shekel bloccate nel nord e di contribuire a evitare il collasso economico del sud di Gaza. È lì, che ora, quelle stesse banconote sono in circolazione. Operazioni più o meno simili sono avvenute proprio nell'area di Khan Yunis. "Diversi funzionari di banca hanno recuperato con auto private il denaro nei caveau degli istituti per fornire i bancomat situati in aree più sicure”, spiega il Ft. Una missione che ha rimpinguato le casse di almeno 6 filiali in cui i bancomat continuano ancora a erogare denaro sia nel centro che nel sud della Striscia.