Chiarezza, velocità e competizione sono i fattori che devono caratterizzare gli strumenti di promozione e sostegno ai processi di innovazione delle imprese. Sono la base per definire politiche che incidano sulle dinamiche di crescita e sviluppo del paese.
Come sostenere l’innovazione
La crisi causata dal coronavirus ha esasperato i problemi strutturali del paese. Uno di questi riguarda la capacità innovativa delle nostre imprese. Certamente, i surplus della bilancia commerciale dimostrano la vitalità e la competitività di molte nostre aziende sui mercati internazionali. Allo stesso tempo, non possiamo ignorare che una fetta significativa del paese è rimasta ai margini dei processi di sviluppo e crescita economica e che anche i successi internazionali possano svanire velocemente se non c’è un processo continuo e sistemico di innovazione, che rinnovi e potenzi il nostro tessuto imprenditoriale.
Un tema particolarmente importante (non l’unico) è quello degli strumenti e delle strutture che hanno come missione la promozione e il sostegno dei processi di innovazione delle imprese e della loro interazione con università, centri di ricerca, centri di competenza.
Su queste questioni, il nostro paese ha sempre avuto un approccio discontinuo, estemporaneo e velleitario. Singole amministrazioni (centrali e locali) hanno di volta in volta avviato iniziative spesso più di bandiera che capaci realmente di incidere sul tessuto imprenditoriale. È oggi più che mai necessario ripensare e impostare un modello che permetta di superare i limiti esistenti, offrire un quadro di interventi stabile e certo nel tempo, consolidare e arricchire know-how e competenze che nel tempo sono state e vengono continuamente sviluppate. Il modello deve basarsi su tre parole chiave che definiscono alcuni criteri e principi di fondo: chiarezza, velocità, competizione.
La chiarezza
I processi di innovazione sono diversi da quelli di ricerca. Hanno tempi, dinamiche e soprattutto obiettivi, fattori e criteri di successo differenti. Se la ricerca mira principalmente a creare conoscenza, l’innovazione ha come primo parametro di successo l’impatto sulla società e l’economia. È dannoso e controproducente confondere i due temi perché porta a definire poliche e strumenti di intervento inefficaci. Né ha senso immaginare che si possano creare velocemente e per decreto centri di eccellenza e “campioni nazionali”.
Il problema che abbiamo nel nostro paese non è quello di creare nuove strutture (offerta) che, partendo da zero, si pongano l’obiettivo confuso e generico di fare innovazione o di essere centri di ricerca per le imprese.
Il sistema Atlante 4.0 del ministero dello Sviluppo economico e di UnionCamere censisce nel settore dell’innovazione e della digitalizzazione circa 600 strutture che coinvolgono migliaia di persone. E in aggiunta ai “competence center” del Piano Industria 4.0, sempre il Mise ha certificato alcune decine di centri per il trasferimento tecnologico 4.0. Siamo inoltre sommersi da strutture che svolgono funzioni di raccordo, networking e promozione dell’innovazione. Non serve quindi complicare un quadro di suo già alquanto caotico. È invece necessario ripensare e qualificare questo confuso mondo, che spesso vive di sussidi pubblici senza una reale e convincente capacità operativa e di autosostentamento. Ciò deve essere associato all’obiettivo primario e prioritario di rafforzare la capacità e la domanda di innovazione delle imprese e di spingerle ad aprirsi (la vera open innovation) a tutti i portatori di competenze che possano fornire un contributo utile al loro sviluppo.
La velocità
L’innovazione è un processo che si misura sulla velocità e tempestività con cui un prodotto o servizio arriva sul mercato. È per sua natura “competitiva” e non può essere sostenuta con strumenti che sono invece “precompetitivi”. I processi di innovazione non si possono quindi incentivare con strumenti quali bandi (magari annuali o peggio una tantum) che prevedano la costituzione di partenariati precompetitivi tra imprese e centri di ricerca. Sono processi troppo lunghi, rigidi, incoerenti con le dinamiche temporali dell’innovazione e che precludono lo sviluppo di proprietà intellettuale realmente distintiva in quanto vincolati “ab origine” alla cooperazione tra una molteplicità di soggetti. Bisogna invece puntare su strumenti automatici, come i crediti di imposta, che permettano anche alla singola impresa di sostenere i propri processi di innovazione, accedendo alle competenze da essa ritenute utili. Ciò rende possibile agire in modo agile e veloce, con certezza di mezzi sia dal punto di vista del budget che del flusso di cassa, anche per effettuare quei leapfr
The post Tre parole chiave per l’innovazione appeared first on Lavoce.info.