Il Bim è una metodologia che consente di creare un modello informativo dinamico delle opere da realizzare, con tutte le informazioni sull’intero ciclo di vita. Uno strumento fondamentale per non sprecare l’occasione del Pnrr per modernizzare il paese.
Pnrr, un’occasione storica
Il Piano nazionale per la ripartenza e la resilienza (Pnrr) è un momento di capitale importanza per il nostro benessere nei prossimi tre decenni almeno.
Se dopo la seconda guerra mondiale la strada da percorrere era chiara, perché c’era un paese da ricostruire ed era chiaro che la realizzazione delle infrastrutture richiedeva una manifattura che non c’era più, ora la strada è molto più complessa. Per diverse ragioni, che rendono il momento attuale difficile e nuovo: una proiezione demografica in contrazione, che riduce le entrate tributarie e le dimensioni del mercato; la dematerializzazione dei consumi, con una struttura industriale indirizzata a un paniere di consumo superato; la domanda in crescita esponenziale di servizi nuovi, nella cura della persona e nella conservazione e sicurezza dell’ambiente; tutti fenomeni accelerati in modo sorprendente dalla pandemia.
A tutto ciò si somma il vincolo strettissimo dei cambiamenti climatici, che minaccia gravemente la nostra società e la nostra economia, su un orizzonte temporale più lungo rispetto al virus, ma in modo più profondo e duraturo. È un momento unico per riavviare gli investimenti, in settori diversi, ma con un focus chiaro e ben individuato.
C’è infatti una grande aspettativa sulla disponibilità dei fondi Next Generation EU a tutti i livelli, dai ministeri fino ai piccoli comuni, tutti convinti che l’iniezione di liquidità possa risolvere anche i problemi più radicati del nostro paese. Purtroppo, molte delle attese saranno deluse, soprattutto quelle relative a richieste di soccorso da parte di un’economia non più competitiva.
È necessario, in primo luogo, scegliere bene i progetti su cui investire e, in secondo luogo, dotarsi di strumenti per migliorare la capacità di amministrare.
Per scegliere dove utilizzare i fondi senza commettere errori serve utilizzare una metodologia concordata in precedenza per valutare i costi e i benefici, applicata ai vari progetti da persone autorevoli e indipendenti, come già ben evidenziato in questo articolo.
E comunicare subito gli indicatori di impatto su occupazione, crescita, prestazioni ambientali che si intendono utilizzare, per guidare, in modo trasparente, le regioni e il governo nella selezione di progetti realmente coerenti con gli obiettivi di crescita. Già troppe iniziative insostenibili sono state proposte al governo dalle regioni.
Serve attenzione all’ambiente
Dobbiamo indirizzare lo sforzo verso una nuova economia. Un’economia fortemente condizionata dalla conservazione dell’ambiente, attenta ai bisogni di tutti, nativa digitale. Un’economia coraggiosa, capace di abbandonare settori trainanti della crescita economica del XX secolo, come i combustibili fossili. Capace di pensare i servizi alle persone fragili con un uso sensibile della tecnologia e dell’automazione; di pensarsi in un’ottica realmente circolare. A costo di rompere equilibri consolidati.
La gestione stessa dei fondi messi a disposizione dall’Europa è l’occasione per modernizzare i processi della pubblica amministrazione. La trasformazione digitale non è la digitalizzazione delle procedure esistenti, ma il loro ripensamento alla luce dei nuovi strumenti disponibili e su questo è indispensabile uno sforzo per recuperare un ritardo pesante rispetto al settore privato. Si pensi a quante volte nella nostra interlocuzione con la Pa ci vengono chiesti i nostri dati, mentre i servizi di piattaforme private ci identificano in modo rapido e agevole una volta per tutte, con una rapidità che renderebbe la burocrazia un ricordo. Impossibile avere lo stesso livello di efficienza? Forse, ma ci si può avvicinare.
Allora, la gestione dei fondi NgEu è il momento per ripensare molte procedure di scelta, progetto, monitoraggio e controllo degli appalti, a patto di dare un indirizzo forte a livello governativo.
Se si avesse, nel Pnrr, la stessa capacità di spesa sperimentata nel programma europeo Horizon 2020 (2014 – 2020) sarebbe una catastrofe: a settembre 2020 abbiamo speso meno del 50 per cento dei fondi a disposizione nel periodo.
Figura 1 – Italia e Spagna faticano a spendere rapidamente i fondi strutturali dell’Ue.
Perché il Bim è importante
Serve dotarsi ora dei più moderni strumenti di controllo digitale dei processi di progettazione, realizzazione e gestione delle opere. La normativa italiana, tramite il Codice degli appalti ed il decreto del ministero delle Infrastr
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Circa un milione di poveri assoluti in più nel 2020. E senza i tanti provvedimenti pubblici di sostegno ai redditi l’aumento sarebbe stato ben più consistente. Ma le ingenti risorse prese a prestito dal futuro potevano essere usate meglio, per la crescita.
Povertà e consumi
Una famiglia è assolutamente povera se i suoi consumi sono inferiori a una soglia di povertà che stabilisce, tenuto conto di alcune caratteristiche di quella famiglia, un valore minimo di spesa per accedere a beni e servizi essenziali. Lo spiegano le note metodologiche dell’Istat, che, detto per inciso, fa un lavoro egregio che altri paesi europei non fanno perché Eurostat non impone, con regolamento adeguato, l’obbligo di valutare la povertà assoluta.
Proviamo a valutare meccanicamente l’andamento della povertà assoluta. Per farlo bisogna guardare soprattutto a livello e dinamica dei consumi visto che, per costruzione, gli individui che vivono in famiglie assolutamente povere sono conteggiati sulla base del confronto tra una soglia di spesa per consumi e il valore del consumo familiare osservato. Poiché vogliamo qui giungere a conclusioni aggregate per il totale Italia, senza riferimenti a territori o fasce sociali, possiamo considerare i consumi della contabilità nazionale, per la precisione i consumi dei residenti.
La Tabella 1 mette a confronto l’evoluzione del numero di poveri assoluti con quella dei consumi per abitante in termini reali dal 2005 (primo anno di rilevazione) a oggi.
La relazione tra le due variazioni dovrebbe essere negativa: se i consumi pro capite crescono, a meno di gravi distorsioni nella distribuzione dei benefici, il numero di poveri assoluti dovrebbe scendere. Al contrario, consumi decrescenti dovrebbero portare un maggior numero di persone sotto la soglia. Poiché nel periodo considerato l’indice del Gini è rimasto piuttosto stabile, possiamo immaginare che maggiori consumi facciano uscire dalla povertà assoluta un numero più o meno grande di persone, probabilmente proporzionale all’intensità della crescita.
Sembra proprio così. Su quindici anni di variazioni gli accoppiamenti sono “sbagliati” solo in sei casi, quelli indicati col segno più nell’ultima colonna, quando al crescere dei consumi crescono i poveri assoluti. Tre di loro sono errori veniali di associazione dovuti all’esiguità della variazione dei consumi. Per esempio, nel 2007 e nel 2010 l’aumento è stato talmente misero che non ha aiutato praticamente nessuno a migliorare la propria condizione. Anzi.
È un altro modo di vedere il problema della povertà e, più in generale, quello della nostra endemica malattia da bassa crescita. Perché le cose vadano peggio per ampie fasce della popolazione, non c’è bisogno di grandi sconvolgimenti: è sufficiente stare fermi sul piano delle variabili aggregate. Il terzo errore ammissibile è quello del 2014. In questo caso, alla modesta riduzione dei consumi si associa quella della povertà, dopo anni devastanti in cui la stessa è più che raddoppiata.
Gli accoppiamenti “sbagliati” sono quelli del triennio 2015-2017. Le ragioni le conoscono gli esperti. Nella mia analisi avalutativa resta il sospetto che, col passare del tempo, le dinamiche sociali interne a un paese privo di crescita economica tendono a bloccarsi: una volta che sei povero puoi sperare in qualche sussidio, ma non molto di più. E d’altra parte è politicamente più facile fornire sussidi e sostegni piuttosto che rimuovere le cause che determinano condizioni di perdurante deprivazione.
Vale la pena di notare che negli anni peggiori del recente passato per una riduzione dei consumi reali pro capite tra il 3,6 e il 4 per cento (2013 e 2012) la povertà assoluta è cresciuta del 24,4 per cento e del 33,9 per cento. Già nel 2008 a fronte di un calo dei consumi pro capite dell’1,7 per cento la povertà assoluta crebbe del 18 per cento. Quindi, arrivando finalmente al 2020, con una riduzione dei consumi pro capite del 10,3 per cento, di quanto sarebbe dovuta crescere la povertà assoluta (assumendo di non conoscere il dato vero)?
Il calcolo per il 2020
Per formulare una congettura è meglio convogliare tutte le (poche) informazioni della tabella in qualche coefficiente di regressione che esprima quanto si muove la nostra variabile target (povertà assoluta) in risposta a una variazione della variabile esplicativa. Poiché il numero di poveri dipende necessariamente dall’ampiezza della popolazione, è preferibile utilizzare come target l’incidenza della povertà assoluta, cioè il rapporto tra individui assolutamente poveri e popolazione. Su queste basi e dopo qualche prova effettuata, ovviamente non considerando le osservazioni relative all’anno della pandemia, si può concludere che dato il crollo
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