La leader del Rassemblement National, Marine Le Pen (in foto), è stata rinviata a giudizio con l’accusa di appropriazione indebita di fondi Ue. Assieme a Le Pen andranno a processo altre 26 persone, tra cui Jean-Marie Le Pen, padre di Marine e storico esponente della destra francese. La notizia è stata rilanciata dalla televisione Bfmtv, che nel servizio ha citato la procura di Parigi. I fatti risalgono al periodo che va dal 2004 al 2016. Secondo l’accusa gli indagati avrebbero assunto finti assistenti che avrebbero dovuto lavorare nelle sedi dell’Unione europea a Bruxelles e Strasburgo mentre in realtà lavoravano per il partito in Francia. Il processo per aver percepito indebitamente fondi europei è previsto fra ottobre e novembre 2024, cioè dopo le prossime, fondamentali, elezioni europee che si svolgeranno tra giovedì 6 e domenica 9 giugno 2024.
L’opposizione e il sindacato, questa volta unito, le ha già ribattezzate nuove gabbie salariali, per indicare la differenziazione degli stipendi su base territoriale in relazione al costo della vita abolita a suon di scioperi alla fine degli anni Sessanta. La maggioranza, invece, propone di non toccare le retribuzioni contrattuali a livello nazionale, ma di prevedere voci aggiuntive per i lavoratori (con particolare riferimento agli insegnanti) che operano e vivono in aree, principalmente metropolitane del Nord, dove i prezzi sono più elevati. A rilanciare il dossier "salari differenziati" è stata la Lega. Ma la maggioranza l’ha seguita: le retribuzioni dei dipendenti pubblici e privati dovranno essere adeguate al luogo in cui vivono. Questo non vuole dire toccare gli stipendi di base ma lavorare sulle voci, una sorta di modularità che si può tradurre mediaticamente in "gabbie salariali", anche se dai partiti di maggioranza si tiene ben a distanza questo concetto netto. E per concretizzare l’idea, la Lega, con l’avallo di Fi e Fdi, ha deciso di procedere su due fronti: con un ordine del giorno presentato durante la discussione che ha azzerato il salario minimo, che passa alla Camera col parere favorevole del governo, e con un disegno di legge assegnato in Commissione Lavoro del Senato il 28 novembre.
L’ordine del giorno del leghista Andrea Giaccone stabilisce che "ritenuto che il tema del costo della vita e delle retribuzioni adeguate è principalmente sentito nel settore del pubblico impiego, laddove lo stipendio unico nazionale può comportare disuguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo", si valuta "che sarebbe auspicabile per alcuni settori, come nel mondo della scuola, un’evoluzione della contrattazione che, da una retribuzione uguale per tutti, passi a garantire un pari potere d’acquisto per tutti, ipotizzando una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività". Il disegno di legge firmato dal capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo prevede una differenziazione salariale "per sostenere il potere d’acquisto dei dipendenti pubblici e privati attraverso la previsione di trattamenti economici accessori collegati al costo della vita dei beni essenziali, così come definito dagli indici ISTAT, nelle aree territoriali presso cui si svolge l’attività lavorativa, con particolare riferimento alla distinzione tra aree metropolitane urbane, suburbane, interne e di confine". Certo è che le opposizioni sono mobilitate contro la doppia iniziativa della maggioranza.
Il Pd di Elly Schlein accusa la maggioranza di "voler dividere il Paese", mentre il M5S avverte Giorgia Meloni: "Se seguirà la Lega in questa follia ci troverà dentro e fuori il Parlamento a difesa della dignità dei docenti e dell’unità del sistema scolastico nazionale". In questo caso anche il fronte sindacale appare compatto. "La questione della retribuzione degli insegnanti ritengo sia un tema di carattere nazionale", spiega Ivana Barbacci, segretario generale della Cisl Scuola.
Senatore Carlo Calenda, leader di Azione, malgrado il pronto apprezzamento vostro e di altri liberali, Mario Draghi ha voluto smentire l’interessamento per la guida della Commissione europea. Non l’avranno un po’ bruciato?
"Draghi ha smentito l’interessamento per la presidenza della Commissione. Il ruolo che più gli si adatta è quello di presidente del Consiglio, di guida e mediazione tra gli Stati. L’importante è il profilo di una personalità che, tra la guida delle istituzioni europee e un anno di governo del Paese, ha acquisito un’autorevolezza cui tutti guardano a livello internazionale. Un profilo cui bisognerebbe che il governo s’ispirasse di più".
A che cosa si riferisce?
"Alla capacità di stare in Europa gestendo le partite senza battere i pugni e minacciare veti. Come sulla riforma del Patto di stabilità, che non piace neanche a me. Ma l’Italia deve riuscire a costruire alleanze autorevoli e non punitive per il Paese".
Sembra che si vada verso una soluzione a due velocità...
"Senz’altro. Il fatto è che conosciamo i documenti di Commissione e Parlamento, non quello che approverà il Consiglio. I Paesi che hanno deficit superiore al 3% del Pil – e quest’anno l’Italia è al 4,3 – e un debito superiore a 60% del Pil – e noi siamo al 140 – hanno obblighi di rientro teoricamente più stringenti del Patto precedente, in quanto ci sarebbero sanzioni automatiche. Si discute oggi proprio sulle velocità: c’è differenza tra rientrare di un punto l’anno oppure, come proposto dal Parlamento, di 5 punti in 5 anni, ma senza vincoli annuali. In questo tipo di discussione non si può arrivare all’ultimo minuto minacciando veti, si esce sconfitti".
E invece?
"Follia pensare di usare oggi la ratifica del Mes come clava rispetto al Patto di stabilità. Non funziona. Io mi sono trovato a gestire per il governo il riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato, sostenuta dalla Germania e dalla Commissione, che danneggiava la competitività italiana, impedendo ad esempio dazi anti dumping. In quel caso costruimmo un’alleanza con Francia e Spagna. Ma fu lavoro per il 90% sottotraccia, e alla fine la spuntammo. Così si lavora in Europa, non minacciando veti".
Se invece accadesse?
"È chiaro che inizierebbe una contrapposizione violenta su molti dossier. Mi auguro che si fermi tutto per riprendere dopo le Europee. Non penso si possa riformare il Patto correndo a fine legislatura. Ma la dice lunga sulla fragilità italiana".
Meloni però sembra seriamente intenzionata a entrare nel grande gioco europeo e votare l’eventuale rinnovo di vor der Leyen alla Commissione...
"C’è una maggioranza (Ppe, Pse e liberali) che par andare verso una riconferma. Dal punto di vista dei numeri, un allargamento ai conservatori europei mi sembra difficile. Anche se io da tempo auspico che Meloni faccia una transizione verso un conservatorismo che si dissoci da Orbàn, Vox, AfD e simili. Penso sia decisivo per lei. Ma deve fare una scelta. Non può stare contemporaneamente con Salvini e von der Leyen. Esattamente come Tajani. E come il Pd rispetto ai 5Stelle".
A pagare l’affermazione delle destre identitaria siete proprio voi liberali...
"Nella prossima legislatura potremmo soffrire un eventuale indebolimento di Macron. Ma le rilevazioni in Italia ci attribuiscono il superamento del 4%. I liberali soffrono quando la politica si estremizza, ma proprio in quel caso servono di più".
Sarete insieme a +Europa?
"Non possiamo fare una lista con Renzi. Ma con +Europa sì".
È quasi fatta, manca solo un ultimo sforzo. Sulla riforma del Patto di stabilità, dopo la maratona di questi giorni, un accordo prima di fine anno è "raggiungibile", secondo il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. Un testo di compromesso, attualmente sul tavolo del Consiglio, è già stato preparato da Francia, Germania, Italia e dalla stessa presidenza spagnola. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire, grande artefice dell’intesa, ha confermato che c’è accordo sul 95% del pacchetto. La presidenza spagnola ora punta tutto su un nuovo incontro ministeriale, possibilmente nella settimana del 18 dicembre, in modo da chiudere la trattativa e risolvere i dettagli ancora aperti, vale a dire tendenzialmente i parametri numerici di aggiustamento di bilancio. Nel corso dell’Ecofin di ieri, poi, è passata anche la revisione dei Pnrr presentati da 13 Paesi membri, fra cui quello italiano. I piani rivisti includono anche il capitolo Repower Eu e diventano così definitivi. È "un altro grande risultato del governo", ha commntato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La rimodulazione del Pnrr italiano vale complessivamente 21,4 miliardi, anche se in una formula parecchio rivista rispetto alle ipotesi iniziali. Resta invece ancora sotto esame il raggiungimento dei 28 obiettivi della quarta rata da 18,5 miliardi, quelli del primo semestre di quest’anno. Il governo continua in ogni caso a puntare all’accredito entro il 31 dicembre.
Il negoziato sul Patto di stabilità (Psc) partiva da un braccio di ferro tra i Paesi preoccupati dall’urgenza di aumentare gli investimenti in una fase delicata per l’economia europea, e quelli attenti alla necessità di ridurre l’indebitamento. L’obiettivo era quello di rassicurarli su un rientro credibile del debito pubblico e del disavanzo dei Paesi meno virtuosi, finiti oltre ogni soglia dopo pandemia, guerra in Ucraina e ricadute su energia e inflazione. Così, nei piani di spesa degli Stati il debito dovrà scendere dell’1% annuo per i Paesi con un debito oltre il 90% del Pil e dello 0,5% annuo per i Paesi con un debito fra il 60 e il 90% del Pil. Sul deficit si chiede un calo anche per i Paesi già entro la soglia del 3% prevista dai trattati: deve scendere al 2% per i meno indebitati e all’1,5% per i Paesi ad alto debito (oltre il 90%). L’ultima svolta in questa partita è stato il tentativo di riaprire la procedura automatica per disavanzo eccessivo, che prevede un aggiustamento dei conti pari allo 0,5% del Pil per chi sfora il deficit del 3% del Pil. Per venire incontro ai Paesi più indebitati, fra cui l’Italia, la Commissione nel valutare la procedura per deficit, secondo il nuovo compromesso, terrà conto dell’aumento degli interessi sul debito tra il 2025 e il 2027, per "non compromettere l’effetto positivo del Pnrr".
È soddisfatto per il compromesso sul Patto il ministro italiano dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: "Noi accettiamo un pacchetto complessivo: non si può prendere, in questa vicenda, un punto e isolarlo dagli altri". E aggiunge: "L’Italia non si lamenta rispetto al fatto che dobbiamo garantire sostenibilità fiscale: abbiamo anche accettato delle salvaguardie, proposte dalla Germania". La ratifica del Mes non sembra più in discussione, anche in base alle affermazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ieri ha sostenuto "non sono contrario, va bene ratificarlo". Sull’altro fronte, il ministro delle Finanze tedesco, il falco Christian Lindner, è apparso più prudente: "C’è un’intesa sulle salvaguardie da utilizzare sul fronte del deficit e del debito. Ora si tratta di trovare la giusta calibrazione, tenendo conto per esempio delle spese per la difesa. Quanto ai deficit eccessivi, noi crediamo che debbano essere ridotti, non scusati. In questo senso, l’attuale procedura contiene sufficienti margini di flessibilità. Non tutti però sono d’accordo con questa visione delle cose". Lindner ha parlato di accordo al 92%.
Telara
Circa 9,6 miliardi di euro. È la cifra monstre del debito assunto dalla vecchia Parmalat di Calisto Tanzi sotto forma di obbligazioni. Fino al 2003 quei bond furono acquistati a man bassa anche da migliaia di piccoli risparmiatori italiani, rimasti poi con un pugno di mosche in mano dopo il crack della società, l’8 dicembre 2003. A distanza vent’anni, un interrogativo è d’obbligo: è possibile che si verifichi anche oggi una vicenda simile?
Di sicuro, il ripetersi dello scandalo è un po’ più difficile poiché negli anni successivi sono entrate in vigore nuove leggi a tutela dei risparmiatori, in applicazione a due direttive europee: la Mifid (del 2004) e la Mifid 2 (del 2018). Entrambe obbligano le banche e gli intermediari a tracciare un profilo dei clienti attraverso un questionario che misura la loro propensione al rischio, testando anche la loro conoscenza dei più comuni strumenti finanziari. È dunque vietato preventivamente a qualsiasi istituto vendere ai clienti strumenti d’investimento che, in base a criteri predeterminati, risultino essere non appropriati né adeguati al loro profilo.
In altre parole, non si possono vendere titoli o altri prodotti finanziari non adatti a soddisfare le esigenze dei clienti o che possano esporli al rischio di perdite disastrose. Ovviamente, vale sempre il famoso detto "fatta la legge, trovato l’inganno". Non va dimenticato infatti che, per compilare i questionari previsti da Mifid, bisogna firmare una montagna di scartoffie, spesso difficili da capire. Un consulente o un funzionario di banca in malafede ha dunque sempre la possibilità di raggirare un cliente sprovveduto, facendogli vidimare ciò che che non corrisponde al vero.
e Nicola Palma
L’urlo prima dell’Inno di Mameli: "No al fascismo". La frase scandita al termine dell’esecuzione: "Viva l’Italia antifascista". I due spettatori identificati dalla polizia. E la polemica che si prende la scena il giorno dopo, con l’hashtag #identificarsi rilanciato dal Pd con una campagna social, i tweet con nomi e cognomi e le richieste di chiarimenti al Viminale. Passata la bufera scatenata all’immediata vigilia della Prima della Scala dalle scaramucce istituzionali sui posti a sedere (chiuse dall’accordo Sala-La Russa per far sedere la senatrice a vita Liliana Segre al centro del Palco reale), eccone subito un’altra ad animare il day after del debutto del Don Carlo al Piermarini.
La ricostruzione parte poco prima delle 18 di giovedì, quando nel giro di pochi minuti si sentono distintamente dalla galleria prima "No al fascismo" e poi "Viva l’Italia antifascista". Al primo intervallo, alcuni agenti in borghese – impegnati nel dispositivo di sicurezza schierato sin dalle 13.30 per vigilare sull’evento sia fuori che dentro il teatro – chiedono i documenti ai due spettatori, come renderà noto a fine serata uno degli identificati, il giornalista e melomane Marco Vizzardelli. Una "ordinaria modalità di controllo preventivo, per garantire la sicurezza della rappresentazione – spiega la Questura di Milano in una nota –. L’iniziativa non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata, ma dalle particolari circostanze, considerate le manifestazioni di dissenso poste in essere nel pomeriggio in città e la diretta televisiva dell’evento che avrebbe potuto essere di stimolo per iniziative finalizzate a turbarne il regolare svolgimento".
In sintesi: solo una verifica, come altre ce ne sono state nel corso della giornata, per chiarire chi fossero gli spettatori e per escludere che avessero altre finalità potenzialmente pericolose. "La conoscenza dell’identità delle persone – la conclusione di via Fatebenefratelli – ha consentito di poter ritenere con certezza l’assenza di alcun rischio per l’evento". Caso chiuso? Nient’affatto. La segretaria del Pd Elly Schlein intende fare delle parole "Viva l’Italia antifascista" un grido di battaglia contro il Governo targato centrodestra: "Continueremo a gridarlo, ovunque. Anche se non piace a Salvini. E adesso identificateci tutte e tutti". Il governatore emiliano-romagnolo e presidente dei dem Stefano Bonaccini è netto su Facebook: "Bastava identificare una copia della Costituzione. In ogni caso, Viva l’Italia antifascista. Sempre". Il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni polemizza con sarcasmo: "Mi auguro che il motivo che ha portato agenti della Digos ad identificare chi ha gridato “Viva l’Italia Antifascista“ alla Scala ieri sera (giovedì, ndr), sia perché il questore e il prefetto di Milano intendono ringraziare quel cittadino per aver reso omaggio alla Costituzione".
Il sindaco del capoluogo lombardo Giuseppe Sala, intanto, chiude le sue “storie“ scaligere su Instagram prendendo le difese di Vizzardelli: "E infine, ma al loggionista che ha gridato “Viva l’Italia antifascista“ ed è stato identificato, che gli si fa? (Chiedo per un amico)". Un modo per dire che il loggionista non deve subire conseguenze negative per la frase gridata alla Prima. Il capogruppo di Europa Verde in Comune Carlo Monguzzi si rivolge proprio a Sala: "Il sindaco (che ne ha la facoltà) conferisca subito l’Ambrogino a Marco Vizzardelli. Sarebbe la bella e giusta risposta di Milano città medaglia d’oro della Resistenza".
Sparita totalmente la discussione sul Don Carlo e le critiche alla sua regia: alla fine, parlando della Scala, gli hashtag ‘VivaItaliaAntifascista’ e ‘identificarsi’ hanno dilagato sui social. È la risposta all’identificazione di Marco Vizzardelli, appassionato di lirica e giornalista, che giovedì sera ha urlato "Viva l’Italia antifascista", a pochi secondi dall’inizio della Prima. Ad accendere la miccia ci ha pensato la politica, con il Pd. L’hashtag #VivalItaliaAntifascista è diventato virale, sul profilo del partito di Schlein. In segno di solidarietà si legge: "Continueremo a gridarlo, ovunque. Anche se non piace a Salvini. E adesso identificateci tutte e tutti".
È la risposta al vicepremier Matteo Salvini che, presente alla Scala, aveva stigmatizzato l’accaduto: "Se uno viene alla Scala ad urlare o agli Ambrogini a fischiare ha un problema". Schlein è stata seguita a stretto giro da molti esponenti dem. In mezzo la posizione di Gianfranco Rotondi: "Siamo felici di gridarlo con voi, ma il 25 aprile, non alla prima della Scala disturbando un evento quasi sacro". Ma a commentare l’accaduto sui social non sono stati solo i politici. Tra chi ha criticato la scelta della Digos di identificare l’autore del gesto anche molti intellettuali come gli scrittori Nicola Lagioia e Silvia Ballestra. "Dire ‘Italia antifascista’ - spiega Lagioia - è collocarsi nel solco della tradizione italiana: quella che ha ripudiato una dittatura infame e vigliacca dando vita a un paese democratico, civile, libero". Mentre per il medico Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, "Viva l’Italia Antifascista è lo slogan orgoglioso di tutti gli italiani che difendono la Costituzione. Per identificarli – scrive su X – citofonare all’anagrafe, non alla Digos".
Fiorello invece ci ha scherzato su, aprendo la puntata di ieri Viva Rai2 così: "Ieri ero a vedere il Don Carlo visto che Mattarella non poteva. Ad un certo punto, dopo l’inno italiano, non ce l’ho fatta e ho urlato ‘Viva l’Italia antifascista!’. La Russa ha avuto un mancamento, il sindaco di Milano Sala si è alzato a prendere un po’ d’acqua, la senatrice Segre gli teneva la fronte mentre il presidente del Senato diceva ‘Liliana, aiutami tu! Tra l’altro - ha scherzato ancora Fiorello - stanno indagando perché si è sentito un altro urlo fortissimo: ‘Viva il Ponte sullo Stretto!’. Nessuno ha ancora capito chi fosse...".
Tredici minuti di applausi e qualche "buu" indirizzato alla regìa del Don Carlo, che Lluís Pasqual, il catalano che ha firmato l’allestimento dell’opera di Verdi che ha inaugurato la stagione della Scala di Milano, commenta con estrema sportività: gli spettacoli sono "come le torte: a qualcuno possono piacere, a qualcuno no". L’eroe assoluto, sul palco del Piermarini, è stato Michele Pertusi, il basso che interpreta Filippo II. Parmigiano come il baritono Luca Salsi nei panni di Rodrigo (e come Giuseppe Verdi), 58 anni, da ventisei canta alla Scala eppure questo era il suo debutto in un’inaugurazione del 7 dicembre. Una Prima accidentata da parecchi imprevisti, come quello che è toccato a lui: un "improvviso" problema "di gola", ha spiegato il sovrintendente Dominique Meyer, annunciando che Pertusi sarebbe "coraggiosamente" tornato in scena. Stava per iniziare il terzo tempo, proprio con l’assolo di Filippo, quell’aria “Ella giammai m’amò“ considerata la più significativa del Don Carlo, che Riccardo Chailly ha voluto introdotta da tutta la fila dei violoncelli, e non da un “solo“, in ossequio all’originale di Verdi e a Claudio Abbado, che così fece alla Prima del 1968.
Il coraggio di Pertusi è stato premiato dal pubblico con ovazioni e “bravo” anche a scena aperta, ma è stato l’applauso preventivo ricevuto prima di affrontare l’aria "che mi ha dato fiducia, e ho pensato che si doveva andare in scena per ripagare questa fiducia", ha spiegato ieri all’Ansa. Per iscritto, dato che la dottoressa della Scala l’ha messo a "riposo vocale" assoluto almeno fino alla prima replica, in programma domani: "Non posso dire di stare bene, ma rimango fiducioso per le prossime recite. Credo che il riposo vocale e le terapie adeguate possano contribuire alla ripartenza", dice il basso, spiegando che giovedì "mi sono svegliato con il naso un po’ chiuso, come càpita qualche volta", ma poi "il raffreddore è sceso, portando muco sulle corde vocali". Quel che è banale per moltissime persone non lo è per un artista il cui strumento è la voce, per giunta impegnato in quello che "con ogni probabilità è il ruolo più complicato che Verdi ha concepito per la voce di basso". Alla Prima, racconta Pertusi, "fin dalle prime battute del duetto con il baritono ho avuto problemi, sia con la tenuta dei fiati che con alcuni suoni risultati “sporchi”", ma ha scelto di andare avanti e "tutto il teatro si è stretto attorno a me, ho sentito un affetto raro" da parte di "tutti coloro che hanno partecipato allo spettacolo", la direzione artistica e il direttore d’orchestra Chailly che "in modo discreto e attento ha cercato di aiutarmi in ogni modo". E del pubblico, "li ringrazierò per sempre. A me sembra sia stata una bellissima serata di musica, a parte il mio problema il cast era al meglio, e lo spettacolo era bello, elegante e di classe, orchestra e coro come sempre eccezionali. Qualche scontento c’è stato e sempre ci sarà, ma il teatro d’opera è fatto anche di questo".
La stessa osservazione del regista Pasqual: "So cos’è Sant’Ambrogio per i milanesi, se avessi avuto 25 o 30 anni mi sarei sentito sotto pressione, ma ne ho 72 e sento solo la responsabilità davanti a Verdi", ha spiegato il catalano che a Milano è stato assistente di Giorgio Strehler ed è grande amico del regista Pedro Almodóvar che era ad applaudirlo alla Scala ("Spesso adoperiamo gli stessi attori; ha visto Antonio Banderas in un mio spettacolo e lo ha preso"). La regìa di Pasqual, più "tradizionale" di quelle delle Prime degli ultimi anni firmate da Davide Livermore, è stata comunque apprezzata da una cospicua rappresentanza dell’ala “tecnica” del pubblico del 7 dicembre, dall’anima del teatro Franco Parenti Andrée Ruth Shammah al sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, che per altri impegni ha seguito l’opera in tv ma s’è voluto complimentare "per il rigore e la qualità della regìa, in tempi di falsificazioni e strumentalizzazioni ideologiche e interpretative". Se la diretta televisiva in 4k, complici anche le quasi quattro ore del Don Carlo, ha registrato meno spettatori (un milione 411mila, share 8.4) del Boris Godunov dell’anno scorso, l’incasso della sala, con 1.888 spettatori e due milioni 582 mila euro, ha battuto di oltre ottantamila euro la Prima 2022 e di 23 mila euro persino la Tosca del 2019 pre-Covid, che detiene il record di due milioni 850mila persone incollate alla tv.
"Marco Vizzardelli, nato il primo luglio 1958. Professione: giornalista di ippica. Segni particolari: appassionato di Scala e cavalli, non necessariamente in quest’ordine". Ci scherza su il sessantacinquenne, da decenni presenza fissa nel loggione, uno dei due spettatori identificati dalla polizia durante la Prima di Don Carlo.
Vizzardelli, cos’è successo giovedì sera?
"Parto dal giorno prima. Mi ha molto infastidito il fatto che sia stata messa in mezzo la senatrice a vita Liliana Segre, tirata a destra e a sinistra quasi fosse uno scudo umano. Ho continuato a pensarci ancora, anche mentre ero in coda con i miei amici per salire in galleria".
Cosa vi siete detti?
"Che era il caso di fare qualcosa. Io ho detto loro che bisognava assolutamente evitare iniziative che coinvolgessero in qualche modo anche la Segre. Prima dell’Inno, un altro loggionista che conosco, non io, ha urlato ’No al fascismo‘, ma quella voce non mi ha condizionato. Dopo l’Inno, mi è venuto quasi spontaneo dire la frase ’Viva l’Italia antifascista‘, non urlata ma pronunciata in maniera perentoria, come una constatazione".
Cosa è successo dopo?
"Ho sentito una voce di donna dire ’Bravo‘ e qualche applauso in platea".
Poi è iniziata l’opera.
"A un certo punto, ho visto una persona che si avvicinava nel buio: dai movimenti ho capito che era un agente. Gentile, mi ha tranquillizzato e mi ha detto che non era niente di grave. A fine primo atto, mi ha mostrato il distintivo e mi ha chiesto i documenti. ’Perché? Cosa ho fatto di male?‘, ho risposto. E me ne sono andato. Poco dopo, sono arrivati in foyer altri quattro poliziotti in borghese, che si sono qualificati come appartenenti alla Digos: mi hanno spiegato che dovevano identificarmi e che se mi fossi rifiutato avrei commesso un reato. A quel punto, l’ho buttata sul ridere: ’Se avessi detto Viva l’Italia fascista, avreste dovuto prendermi e mandarmi fuori, ma così no...‘. Anche loro si sono messi a ridere. La situazione era tranquilla: ho fotografato io il documento e ho inviato lo scatto via Whatsapp a uno di loro".
Lo rifarebbe col senno di poi?
"Certo, oggi ne sono ancora più convinto. Premetto che non sono comunista. Mi definirei di centrosinistra, ma soprattutto non razzista e non fascista. Ho detto una cosa lapalissiana, scritta nella Costituzione: perché tutto questo can can?".
Salvini ha detto che chi urla alla Scala ha un problema...
"Con quella frase ha dimostrato di non sapere nulla della Scala e dell’opera: in teatro si sono dette e sentite cose ben peggiori".
La Russa non ha sentito...
"Furbo".
Le è piaciuto lo spettacolo?
"Direzione e cantanti straordinari, regìa penalizzante".
Nicola Palma
Vespa
A un amico che gli chiedeva come stesse andando con Giorgia Meloni, Matteo Salvini ha risposto: "Ottimo rapporto e sintonia, personale e politica. E a te non ho bisogno di raccontare balle". E allora tutto quello che si è scritto su tensioni e conflitti tali da rendere necessario un chiarimento a palazzo Chigi? Salvini non ha interesse alcuno ad arrivare alle Europee con una maggioranza sfibrata ed esausta. Guida il ministero più ricco e stimolante, può fare grazie anche al Pnrr opere pubbliche decisive per modernizzare l’Italia dopo aver rinunciato per sua fortuna al ministero dell’Interno fonte di grane. I voti si guadagnano anche così. Certo, quando si vota col proporzionale un po’ di concorrenza anche nella coalizione è fatale, ma basta stare a tavola usando le posate in modo corretto e non può accadere niente di grave. Le circostanze hanno voluto che Antonio Tajani, grazie alle guerre in Ucraina e in Israele, si trovi a essere il ministro degli Esteri più importante rispetto ai suoi colleghi italiani degli ultimi decenni e questo gli porta visibilità utile anche a Forza Italia che non ha più da temere dal quorum per essere ammessa al Parlamento europeo. Si dice: ma a Bruxelles i tre partiti principali della maggioranza italiana stanno in tre famiglie diverse. Meloni ha ricordato che questo accadeva anche nel governo gialloverde guidato da Conte. Senza parlare del governo Draghi. Ma già i socialisti italiani sono stati per molto tempo alleati della Dc al governo e del Pci vicino a Mosca in Comuni e Regioni. Caduta la mossa di Macron in favore di Draghi per la rinuncia preventiva dell’interessato, Ursula von der Leyen resta la candidata favorita per la conferma. E conta per questo sull’aiuto di Meloni. E su di lei punta Roberta Metsola per la conferma alla guida di Strasburgo. Tajani è diventato presidente del Parlamento europeo con i voti popolari, liberali e conservatori. Ci sarà una nuova coalizione del genere? È certo che Meloni, con la sua larga popolarità in Europa, difficilmente vorrà stare all’opposizione. Ma se farà scelte diverse da quelle di Salvini, non si vede perché il governo dovrebbe risentirne.
PORTOGRUARO (Venezia)
Sono Egli Gjeci, 20 anni, Altin Hoti, 22 anni e Giulia Di Tillio, 21 anni, studentessa di economia aziendale, le tre vittime dell’incidente di ieri notte a Portogruaro in provincia di Venezia. I due amici di origini albanesi e l’universitaria, fidanzata di Altin, di ritorno da una serata trascorsa in alcuni locali di Portogruaro, sono morti alle 3,40, quando la Bmw nera su cui viaggiavano e proveniente da Concordia Sagittaria ha sbandato in viale Venezia sfondando un guardrail e danneggiando un albero per poi finire in un canale in prossimità del ponte sul fiume Reghena in zona Borgo Sant’Agnese. Altin abitava proprio a Portogruaro. La sua famiglia deve affrontare un’altra tragedia dopo quella che l’aveva colpita nel maggio scorso, quando il fratello 19enne della vittima è morto in un altro incidente sulla tangenziale nel quale era rimasto ferito anche il padre.
I vigili del fuoco hanno recuperato in nottata i corpi con l’autogru. I sommozzatori hanno setacciato il canale alla ricerca di una quarta vittima, ma fortunatamente la sorella di Altin Hoti si è salvata perché era stata riaccompagnata a casa poco prima dell’incidente. Le salme recuperate erano nell’abitacolo dell’automobile. Nel corso d’acqua profondo circa tre metri sono stati recuperati anche alcuni oggetti personali delle vittime. Non si esclude che l’auto procedesse a velocità elevata. I carabinieri hanno cercato tracce di eventuali frenate sull’asfalto durante la ricognizione mattutina. Secondo altre ricostruzioni l’auto, che appariva danneggiata sul fianco sinistro forse per l’urto con il guardrail, ha anche sfondato un cancello prima di inabissarsi.
Il pubblico ministero di turno ha disposto l’autopsia sul corpo del conducente, compresi gli accertamenti tossicologici, per comprendere le ragioni dell’incidente. Pare che a guidare l’auto fosse proprio Altin Hoti, che viveva a Concordia Sagittaria con la sua famiglia ed era anche proprietario della Bmw. Il suo cellulare è stato sequestrato. Gli investigatori vogliono verificare se lo stesse usando o – affermano alcune agenzie – sia stato distratto da un selfie. Le altre due vittime erano residenti a Portogruaro. Giulia Di Tillio sedeva al suo fianco, sul sedile posteriore c’era Egli Gjeci. Quest’ultimo aveva frequentato l’istituto professionale D’Alessi. Il profilo Facebook di Altin Hoti è ancora pieno di foto della Bmw nera, in alcuni scatti decorata con un teschio e la bandiera dell’Albania.
Nel settembre scorso ricordava il fratello Admir, morto nell’incidente stradale a maggio: "Manchi tanto campione mio, questa vita senza di te è veramente dura. Ti prometto che farò di tutto per avere la giusta giustizia. Non vedo l’ora di incontrarti di nuovo". Sotto, i primi messaggi di dolore degli amici.
"Il Veneto piange altre giovani vittime della strada. Una tragedia senza fine, ultima di molte altre, che lascia il cuore infranto e richiama le coscienze ad un esame profondo su cosa si possa fare per evitarle", dice il governatore Luca Zaia. "In questo momento voglio stringermi alle famiglie delle vittime e ai tutti coloro che le hanno conosciute, rivolgendo loro il mio più profondo cordoglio. Dobbiamo continuare a ricercare forme di prevenzione più efficaci, perché, se così facendo riusciremo a evitare anche solo un’altra di queste tragedie, sarà comunque stato raggiunto un risultato per guardare con maggiore sicurezza sulle nostre strade", conclude.
di Lorenzo Bianchi
A Gaza è arrivata la fase numero due dell’offensiva. "I soldati della 98esima Divisione – ha spiegato il portavoce delle Forze Israeliane di Difesa (in sigla inglese Idf) Daniel Hagari – continuano a combattere nell’area di Khan Younis, una delle roccaforti principali di Hamas. I soldati hanno anche fatto irruzione nella postazione militare del Battaglione Deir al-Balah". Per due ore nella notte Khan Younis è stata colpita. L’intelligence israeliana sembra convinta che si siano rifugiati in quella zona sia Yahiya Sinwar, il capo politico di Hamas a Gaza, sia Mohammed Deif, numero uno del braccio armato degli integralisti islamici. Sia Sinwar sia Deif sono originari di Khan Younis.
La foto dei 120 maschi palestinesi in età compatibile con la partecipazione ad azioni violente seduti sui talloni dopo la cattura lungo una strada, potrebbe indicare un cambio di strategia. Secondo la Cnn alcuni di loro sarebbero civili. Il 6 dicembre Hamas aveva sparato razzi da una "zona umanitaria". Il controllo persona per persona è diventato una necessità.
Hamas ha esibito in un video il cadavere di un soldato che l’esercito israeliano avrebbe voluto liberare con un blitz fallito ieri mattina. Il filmato, che dura poco meno di due minuti, mostra nella prima parte il militare rapito mentre parla in camera, illeso: "Mi chiamo Saar Baruch, ho 24 anni e sono del kibbutz Beeri. Dal 7 ottobre sono ostaggio a Gaza. Voglio tornare a casa", dice. Poi le immagini proseguono con quelle che a dire di Hamas sono le conseguenze del tentato blitz e si chiudono con il cadavere del soldato.
L’Idf ha confermato due feriti gravi nell’azione. Nella Striscia un raid ha spezzato la vita di Refaat Alareer, 44 anni, accademico e poeta palestinese. "Se dovessi morire... che questo porti speranza, che questo sia un racconto". Le parole sono l’inizio e la fine di una sua lirica diventata virale pochi giorni dopo il via all’ offensiva di terra a Gaza.
I soldati israeliani caduti dall’inizio dell’invasione della Striscia sono ora 93. Nel nord hanno perso la vita altri due carristi. Fra le vittime c’è anche Gal Eisenkot, 25 anni, riservista, figlio di Gadi, ex capo di Stato maggiore e attuale membro del Consiglio di guerra. L’esplosione di un imbocco di galleria lo ha investito in pieno.
In questo scenario di morte un nuovo scandalo ha coinvolto il premier Benjamin Netanyahu. Al figlio Yair, secondo il quotidiano liberal Haaretz, è stato consegnato un passaporto diplomatico al quale non avrebbe avuto diritto, perché ha 32 anni e non 18, come prevede la legge. Nelle settimane scorse la stampa si era chiesta perché fosse rimasto negli Stati Uniti, Paese che lo ospitava da mesi, e non fosse rientrato in Israele. In una conferenza stampa il premier aveva spiegato che stava organizzando raccolte di fondi. Nel frattempo Yair Netanyahu è tornato in patria. Ora si è offerto volontario per ‘Hatzolà’, un’associazione religiosa di assistenza. Ieri per l’ennesima volta il padre ha promesso che sradicherà Hamas dall’enclave senza coinvolgere l’Autorità Nazionale Palestinese. Nella stessa giornata nel centro del Paese hanno suonato per due volte le sirene di allarme per i razzi lanciati da Gaza. Due israeliani inseriti nell’elenco dei sequestrati da Hamas il 7 ottobre in realtà sono morti. Dror Kaplan, fu freddato assieme alla moglie nel kibbutz Be’eri. Eitan Levy, 53 anni, arrivò con il suo taxi a Be’eri mentre Hamas seminava sangue.
John Kirby, portavoce della Casa Bianca per la sicurezza nazionale, ha dichiarato ai giornalisti che "non è vicina un’altra pausa umanitaria a Gaza". Gli ostaggi sarebbero ora 137. Ieri sono entrati nella Striscia 70 camion di aiuti, meno della metà di quelli che arrivavano durante la tregua appena conclusa. Le vittime palestinesi contate da Hamas sarebbero 17.847. Il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto un cessate il fuoco "immediato". "Gli occhi del mondo e la storia – ha argomentato – ci guardano. È tempo di agire".
"Il 2024 sarà un anno decisivo per Kiev, e non tanto per quel che succederà in Ucraina ma per quanto accadrà a Bruxelles e soprattutto a Washington. Putin attende e spera". Così Riccardo Alcaro (foto), responsabile del programma “Attori globali“ dell’Istituto Affari Internazionali. "Questo – dice – è il momento più delicato per la difesa del’Ucraina dalle prime settimane dell’invasione russa. E ci sono tre ragioni, la prima negli Stati Uniti, la seconda in Europa, e la terza è il conflitto a Gaza".
Iniziamo dall’America. Il sostegno politico economico e militare all’Ucraina rischia di indebolirsi?
"Il sostegno è in calo ed è crollato nell’elettorato repubblicano. Soprattutto è in caduta libera nei gruppi repubblicani al Congresso, che vogliono legare gli aiuti a Kiev all’aumento di fondi per questioni che sono più in alto nella loro agenda, come il contrasto all’immigrazione clandestina. Questo ha affossato il difficile negoziato per un pacchetto da oltre 100 miliardi di dollari, 61 dei quali per l’Ucraina. Non sembra esserci una soluzione immediata, ma io sono sempre convinto che un accordo si troverà: i repubblicani stanno tirando la corda per strappare più concessioni ma poi si metteranno d’accordo anche per l’Ucraina. Ma se qualche mese fa avrei detto che ne ero quasi certo, ora non più, è molto probabile, ma non affatto sicuro".
L’Europa potrebbe imitare gli Stati Uniti?
"Anche qui ci sono problemi, in parte dovuti anche alle difficoltà americane. Gli europei si erano accordati perché fosse stanziato per l’Ucraina un fondo per il supporto economico, dal 2024 al 2027, da 50 miliardi, che dovrebbe essere approvato assieme alla revisione di metà mandato del bilancio dell’Unione europea. Ma alcuni Stati, in primis la sempre più nazionalista Ungheria, si sono messi di traverso. Anche qui, l’Ungheria tira la corda per avere più soldi, ma il risultato ultimo è che i fondi per Kiev sono a rischio".
Terza questione, la guerra a Gaza
"La questione di Gaza impatta perché Biden è persuaso che gli Stati Uniti abbiano la possibilità di occuparsi di entrambe le questioni ma i realtà l’energia e il capitale diplomatico deve essere diviso, e poi nel Congresso i repubblicani sono più propensi ad aiutare Israele e questo complica ancora di più il negoziato sui 100 miliardi di dollari".
E Putin gode. Viaggia nel Golfo, si ricandida alle presidenziali (del 2024).
"Putin ha avuto il migliore mese dall’arenarsi dell’invasione. La controffensiva ucraina sembra essersi esaurita, non c’è sicurezza che Kiev possa essere rifornita in maniera adeguata a giustificare le proprie ambizioni e anche l’economia ha trovato una sua stabilizzazione, almeno a breve, grazie agli ingenti investimenti nello sforzo bellico. Putin si sente più sicuro e quindi si ricandida, guardando con speranza al 2024: se vincesse Trump, si augura che il rubinetto degli aiuti a Kiev possa ridursi".
Putin punta ad arrivare ad una trattativa per tenersi tutti i territori conquistati?
"No, perché la Russia non vuole una trattativa, neppure se gli fossero concesse tutti i territori annessi, ma una resa. La verità è che Putin, se e quando si esaurisse l’aiuto occidentale, spera ancora di potere arrivare al collasso dell’Ucraina: il suo vero obiettivo. E l’altro motivo è che se ci fosse un accordo negoziato e dovesse finire l’economia di guerra, i nodi verrebbero al pettine e l’economia russa andrebbe in crisi e così il suo consenso. E quindi la guerra serve a Putin, e fino alla vittoria: costi quel che costi".
Prima il Covid, poi l’inflazione, entrambi grandi fenomeni che hanno accelerato il passaggio a nuove abitudini di consumo, sempre più spesso concentrate online. Negli ultimi anni lo shopping degli italiani ha cambiato forma, costretto dalla pandemia e dalla successiva impennata dei prezzi, e a farne le spese sono stati migliaia di negozi, a partire da quelli di abbigliamento, obbligati in non pochi casi anche a chiudere i battenti. Secondo la fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere, tra il 2019 e il 2023 il numero di negozi di abbigliamento è diminuito di oltre 9mila unità, attestandosi al 30 settembre scorso poco al di sopra dei 78.000 esercizi commerciali.
Il bilancio tra aperture e chiusure di attività nel commercio di articoli di abbigliamento in esercizi specializzati è quantificabile in una riduzione di quasi l’11% dei negozi. La frenata ha inciso pesantemente sulle imprese individuali (il 53% del totale del comparto) che, per il periodo in esame, hanno fatto registrare una diminuzione superiore al 12% (quasi 6.000 unità in meno in termini assoluti). Una dinamica, secondo l’associazione delle Camere di commercio guidata da Andrea Prete, che riflette anche la forte crescita del commercio online, con sempre più italiani che fanno i loro acquisti sulle apposite piattaforme dedicate. E che ha spinto persino la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ad intervenire sul tema di fronte alla platea di Confesercenti, assicurando che "nessun colosso del web potrà mai sostituire la funzione culturale e sociale che ricoprono commercianti e artigiani".
Le vetrine illuminate stanno però progressivamente lasciando spazio alle saracinesche abbassate praticamente ovunque in Italia. Ad eccezione di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove si conta una variazione negativa in termini percentuale più contenuta, in tutte le altre regioni del Centro-Nord, a partire da Lazio, Marche, Toscane e Friuli Venezia Giulia si registrano perdite superiori al 10%. Lazio, Lombardia e Toscana sono invece le regioni in cui la contrazione degli esercizi appare maggiore in termini assoluti:. A livello provinciale, le variazioni percentuali più importanti si registrano al Centro-Nord: a Roma, Ancona, Ferrara e Rieti per il commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento si contano diminuzioni superiori al 20% nell’arco del periodo considerato.
Alberto Levi
Quattro anni di metodica evasione fiscale e sperpero dei milioni di dollari dovuti all’Internal Revenue Service in sesso, droga e lussi. "Tutto tranne le tasse", si legge nell’ultima accusa di 56 pagine presentata contro Hunter Biden dal procuratore speciale David Weiss. Nove capi d’imputazione, i più gravi finora per il figlio scapestrato del presidente Usa e per lo stesso Joe Biden che, dalla prossima settimana, potrebbe essere messo formalmente sotto impeachment dalla Camera. Dal 2016 al 2020 il First Son "ha messo in atto uno schema fraudolento per non pagare le tasse", si legge nei documenti presentati in California che descrivono nel dettaglio come Hunter abbia speso i soldi strappati al fisco: droghe, escort, fidanzate, alberghi di lusso e sontuose residenze in affitto, auto stravaganti, abiti firmati, festini, strip club.
Uno scialpinista lecchese di 42 anni morto, un altro coetaneo della vittima anch’egli italiano ricoverato in ospedale in gravissime condizioni e un terzo componente della comitiva di amici più giovane uscito completamente illeso. È il tragico bilancio di una valanga che si è staccata in alta montagna, dal Piz Grevasalvas, in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, non lontano dalla zona di Tirano, al confine con le vette della Valtellina.