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Con il «sì» al divorzio nacque un'altra Italia

Testo: 

di Roberto Finzi

13 MAGGIO 1974
Il 13 maggio 1974 l'Italia si svegliò cambiata. Che era successo? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Dopo altri tentativi falliti, a metà degli anni '60 due deputati laici di schieramenti diversi e opposti - Loris Fortuna, socialista, e Antonio Baslini, liberale - depositano in Parlamento progetti di legge per l'introduzione del divorzio in Italia. A sostegno della loro iniziativa i radicali di Marco Pannella fondano la Lega per il divorzio che raccoglie forze e sviluppa una capacità d'azione politica ben più grandi del piccolo nucleo radicale. I maggiori partiti politici, cui vanno intorno al 70% dei voti, la Dc e il Pci, sono contrari alla proposta di legge. L'una per motivi ideologico-religiosi: per la Chiesa il matrimonio è un sacramento, non un, sia pure particolare, contratto fra due persone. L'altro perché teme che un provvedimento del genere porti alla sconfitta chi il divorzio sostiene e al prevalere all'interno della Dc delle forze più oscurantiste.
Si apre un'aspra battaglia in anni per l'Italia complicati: la modernizzazione e lo sviluppo economici continuano; la scolarizzazione esplode; prendono corpo il cattolicesimo «del dissenso», il movimento del '68, il femminismo; si dispiegano le grandi lotte operaie dell'autunno del Sessantanove; con l'attentato de 12 dicembre 1969 inizia la «strategia della tensione». In questo ribollìo nel 1970 il Parlamento approva l'introduzione in Italia del divorzio con una maggioranza che vede votare a favore insieme comunisti, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali e contro la destra neofascista e la Dc. Perché questo possa avvenire la Dc, contro ogni sua precedente posizione, ha posto una condizione: che sia emanata la legge di attuazione del referendum, previsto nella sua forma abrogativa dalla costituzione del 1948. La richiesta è di facile interpretazione: la volontà espressa dal Parlamento è difforme dal sentire del Paese; il Paese vero è cattolico e, se chiamato a decidere, smentirà il voto del parlamento. Questa visione della Dc sembra trovare conferme. Nel 1971 è depositata la richiesta di referendum per l'abrogazione della legge sul divorzio da parte di oltre 1.300.000 cittadini; dopo le elezioni politiche del 1972 le forze divorziste non hanno più la maggioranza in Parlamento per una grande avanzata del Msi e la dispersione a sinistra di centinaia di migliaia di voti. L'apparente conferma dell'analisi della Dc rafforza il convincimento del Pci che un eventuale referendum avrebbe visto la sconfitta dei divorzisti e avrebbe ricreato in Italia quello «steccato» fra cattolici e non che era stato una delle cause decisive della debolezza della democrazia prefascista. Per questo, pur diviso al suo interno, cerca con ogni mezzo di evitare che il referendum sia celebrato.
Il 12 maggio 1974 si recherà alle urne circa l'88% degli aventi diritto. Il 59,3% di loro vota per il mantenimento del divorzio nella legislazione italiana. L'Italia è cambiata, la democrazia si è rafforzata, la società civile è più avanzata del sistema dei partiti: in questi asserti si coagulano i giudizi, di allora e storici, su quell'evento.
Sì, l'Italia non è più quella del dopoguerra ed è vero che la democrazia si è rafforzata. L'«altra metà del cielo», le donne, fino ad allora erano una metà del cielo «minore»: non erano padrone di decidere sulla loro maternità; il loro adulterio era un reato penale; potevano essere picchiate dal marito a fini educativi; la loro stessa vita aveva un valore abbastanza basso, ove avessero trasgredito alle rigide leggi della morale cattolica. Se padre, fratello, marito avesse trovato figlia, sorella o moglie in situazione atta a lederne l'«onore» e preso da ira l'avesse uccisa, gli sarebbero state riconosciute particolari attenuanti e sarebbe stato condannato a una pena massima di 7 anni. Col risultato del referendum sul divorzio si posero le premesse perché queste disuguaglianze giuridiche fossero eliminate.
Che ci fosse, già allora, uno scollamento fra il comune sentire dei cittadini e la percezione che del Paese avevano i partiti è altrettanto indubbio. E fu un errore, specie da parte del Pci, non tenerlo nel debito conto. Va tuttavia ricordato che quel risultato si ebbe nel pieno di una situazione per molti versi terribile: lo svilupparsi della strategia della tensione e l'apparire e il consolidarsi del terrorismo brigatista. La stessa espressione del voto divorzista rappresentava d'altronde qualcosa di complicato. Lo colse Pier Paolo Pasolini per cui quel 59% a favore del divorzio «non sta a dimostrare... una vittoria del laicismo, del progressismo, della democrazia... Esso sta a dimostrare invece... che i ceti medi sono... cambiati; i loro valori positivi non sono più quelli sanfedisti e clericali ma sono i valori.. dell'ideologia edonistica del consumo... Il no è stata una vittoria... Ma l'indicazione che esso dà è quella di una mutazione della cultura italiana: che si allontana tanto dal fascismo tradizionale quanto dal progressivismo socialista».
Se fosse stato ancora vivo, lo scrittore avrebbe potuto trovare una conferma delle sue tesi nella vittoria di Forza Italia nel 1994. Ma quanto ha pesato dal 1974 in avanti la sottovalutazione di quel risultato da parte della più cospicua forza della sinistra italiana?

Data: 
Mercoledì, 12 May, 2004
Autore: 
Fonte: 
IL PICCOLO
Stampa e regime: 
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