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In carcere, dalla parte di Pannella

Testo: 

Migliaia di detenuti in tutta Italia hanno aderito al suo sciopero della fame. Perché dietro queste mura la soglia tra amore per la vita e per la morte è sottilissima.
di ADRIANO SOFRI

È domenica, è la settimana del 25 aprile, e bisogna spedire già lunedì, chissà che cosa sarà successo intanto.
L'argomento è lo sciopero della sete di Marco Pannella, e con lui di Roberto Giachetti, che è un deputato; e della fame di alcune migliaia di persone. La ragione speciale per cui ne scrivo è che a questa sorprendente lotta si è unito un gran numero di detenute e detenuti nelle carceri italiane (oltre 1.500), e chissà quanti sono diventati intanto.

Che cosa ha mosso Pannella e i suoi? Lo scandalo, ai loro occhi, di una Corte costituzionale, incaricata di giudicare della costituzionalità delle leggi, la quale da un anno e mezzo è priva di due dei suoi componenti, di nomina parlamentare. Il mancato plenum della Corte costituzionale è un'anomalia grave?
Dipende, a quanto pare. Per Pannella sì. Lo stupore per una protesta che è sembrata a qualcuno sproporzionata sarebbe stato minore se si fosse saputo che da mesi e mesi Pannella e i radicali denunciavano lo scandalo del plenum azzoppato. Che non è solo un vulnus, come dicono, alla forma della legge (cioè alla legge), ma un effettivo impedimento al lavoro della Corte.
È stato il suo stesso presidente, Cesare Ruperto, a spiegare che basta che un giudice prenda qualche malanno di stagione per far mancare il numero legale al solenne organo costituzionale. Ruperto, che da qualche tempo in qua deve averne avuto abbastanza, è arrivato a dire che, se il Parlamento non ce la fa, lasci che siano i giudici a nominare i due colleghi mancanti, magari a nominare due donne.

La denuncia dei radicali comprende un'altra anomalia, che può passare per trascurabile solo perché il centrodestra dispone alla Camera di una maggioranza larga: la mancata nomina di 13 parlamentari eletti, per via dell'irrisolto pasticcio delle liste civetta. Una delle ragioni dell'incredibile ritardo del Parlamento nell'elezione dei giudici costituzionali è il disaccordo fra i due poli, e al loro interno. Questo ci interessa meno qui, anche perché quando questa pagina sarà in edicola, appunto, la nomina sarà avvenuta (guai se no). Del resto Pannella e i suoi non si sono battuti per l'uno o l'altro candidato. Pannella ha piuttosto deciso di impegnare tutto se stesso perché il ritardo non fosse più sopportato. Rivelando una situazione paradossale: perché il presidente della Repubblica mostrava di avere la stessa intenzione, i presidenti dei due rami del Parlamento anche, e tuttavia la cosa non quagliava. A questo paradosso Pannella e i suoi aggiungevano il proprio: perché impegnare sul completamento del numero legale della Corte costituzionale la propria vita attraverso uno sciopero della fame e della sete spinto all'oltranza non è questione facile da capire e accettare.

Morire per il plenum della Consulta? C'è una sproporzione, agli occhi dei più. E i più non hanno torto. Però, a pensarci bene, salve condizioni estreme di vita e di morte, una lotta che metta in gioco la vita di chi la conduce è sproporzionata a qualunque obiettivo. Gli obiettivi sono sempre insieme importanti per sé, e importanti per l'occasione che offrono. Lo si è appena visto con lo sciopero generale per l'articolo 18: sproporzionato senz'altro, se non si tenga conto di questa ambivalenza (non ambiguità, e comunque non solo) degli obiettivi. È per questo che non basta chiedere quanti scioperanti o manifestanti sappiano esattamente che cosa sia l'articolo 18 e quali modificazioni se ne richiedano.

Veniamo al punto. Molti detenuti, precipitati dopo il falso movimento del Giubileo nella delusione e nell'abbandono, conoscono i radicali come i più impegnati a seguirli e a rivolgersi loro come cittadini capaci di diritti e responsabilità, e hanno deciso di solidarizzare con Pannella. Hanno cominciato a San Vittore, poi sono arrivati gruppi da una quantità di altre galere. Donne detenute a Opera hanno scritto una lettera molto bella a Pannella, chiedendogli alla fine di prendere il suo posto. Fra i detenuti (migliaia, alla fine) che hanno variamente aderito al digiuno, molti erano i cosiddetti «extracomunitari». Dando così forma a una situazione di magnifico scialo: i detenuti, italiani e no, gli ultimi della Terra, che impegnano la propria umanità, spogliata e dissipata per regolamento, per contribuire alla regolare composizione ed efficacia della Corte costituzionale. Di tutte le rappresentazioni della società ai suoi antipodi, la fotografia che ne risulta, di carcerati spiantati e schiacciati che digiunano e dei supremi giudici costituzionali, è fra le più spettacolose. Fosse solo per questo, lo sciopero di Pannella sarebbe un gran colpo.

C'è di più. È tempo, lo dicevo qui la volta scorsa, di grandi confusioni, nel mondo, fra martiri che testimoniano inermi la propria fede aggredita e martiri che impiegano i propri corpi come armi mortali contro quelli che tengono per propri nemici. Tempo di curdi digiunatori a morte. Tempo che fa sottile la soglia fra amore per la vita e devozione alla morte. Nelle prigioni questa soglia è sottilissima. Spesso si può impegnare solo il proprio corpo a difesa del proprio diritto restante e della dignità; troppo spesso lo si guasta in un autolesionismo disperato o inebetito. Anche dove abito io abbiamo discusso e deciso di solidarizzare tutti col digiuno. Ma usandolo anche per ricattare Pannella: che la smettesse. E per dire a chi abbia voglia di sentire voci così dal basso che la dilapidazione cui le galere dannano i loro ospiti non toglie loro né l'umanità, né la voglia di impiegarla, per se stessi e per il prossimo. Eravamo a questo punto quando abbiamo visto Pannella e Giachetti da Costanzo, e ascoltato Ciampi. Posso spedire la pagina a cuore più leggero.

Data: 
Venerdì, 26 April, 2002
Autore: 
Fonte: 
PANORAMA
Stampa e regime: 
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