di Massimo Lensi
Il 26 ottobre dell'anno scorso una pattuglia di militanti del Partito Radicale Transnazione, tra cui il segretario Olivier Dupuis, il responsabile della sede radicale di Mosca, Nikolaj Khramov e il consigliere regionale piemontese Bruno Mellano, fu arrestata a seguito di un volantinaggio per le strade di Vientiane, capitale del Laos. I radicali avevano un preciso obiettivo, prioritario su tutto. Ottenere informazioni sulla sorte di Bouavahn Chanmanivong, Khamphouvieng Sisa-At, Thongpaseuth Keuakoun, Seng-Aloun Phengphanh e Keochay, cinque studenti dissidenti con il feroce regime "comunista" laotiano, arrestati due anni prima dopo una analoga manifestazione per la "democrazia e la riconciliazione". La storia si ripeté.
I radicali vennero arrestati e trasferiti nel carcere per stranieri di Vientiane (Phonthong), divisi e costretti ad alloggiare in misere celle con altri detenuti per poi essere messi in isolamento. Il gruppo poi fu scarcerato grazie anche all'intervento del Governo italiano, alle pressioni dell'Unione Europea ed alla tempestiva missione in Laos del sottosegretario agli esteri Margherita Boniver, dopo un processo farsa nel quale fu comminata ai cinque radicali la condanna per propaganda antigovernativa a due anni di reclusione con la condizionale. Il Laos è un Paese dove corruzione e violenze sono all'ordine del giorno, in mano ad un gruppo di burocrati del Partito Comunista Laotiano. Le carceri a sono a dir poco spaventose, terribili. Carceri dove si muore, dove si perdono le speranze, dove non si hanno contatti con il mondo esterno.
Di recente Marco Pannella al Parlamento Europeo, in una interrogazione alla Commissione, ha chiesto che siano intraprese energiche iniziative nei confronti del regime dittatoriale di Vientiane affinché sia dato seguito alla risoluzione del 15 novembre 2001. Una risoluzione importante, in cui si chiedeva alla Commissione di assumere informazioni sullo stato processuale dei cinque leader studenteschi arrestati. Una politica, quella dei radicali e di Marco Pannella, di ingerenza nonviolenta nei regimi dittatoriali, di vero "ricatto democratico", che prevede, nella formidabile varietà delle azioni nonviolente, anche richieste istituzionali di messa in mora di Paesi come il Laos, Vietnam e Cina popolare. Un ricatto democratico chiaramente segnato da una linea precisa da perseguire, quella del controllo sugli sviluppi, eventualmente democratici, dei regimi dittatoriali. Aiuti allo sviluppo in cambio di democrazia, e rigoroso controllo sull'"aiuto" che si sa (ipocritamente, come sostiene il direttore de L'opinione) finire nelle mani di questo o quell'altro Faraone di regime. Un "aiuto" che quasi mai, se non nell'ordine dell'apparenza, conclude il suo lungo viaggio alleviando le popolazioni bisognose.
Nella stessa interrogazione, per esempio, Pannella avanza l'ipotesi di sospensione del trattato di cooperazione siglato tra il Laos e l'Unione Europea fino all'assicurazione da parte di Vientiane della tenuta del processo ai cinque studenti, accusati come i cinque radicali, di propaganda antigovernativa. Un reato d'opinione. Robert, il compagno di cella di uno dei cinque militanti radicali è stato rilasciato di recente dopo aver scontato sette anni di pena per un reato minore, connesso al traffico di eroina sul confine tra la Tailandia e il Laos. In questa intervista, rilasciata a Radio Radicale, Robert descrive la sua esperienza, quello che ha visto e ha subito sulla sua carne, sul suo fisico, sul suo spirito in sette anni di detenzione in un carcere dove si è isolati dal mondo. Robert adesso è fuori, nonostante grossi problemi, e questa che ha rilasciato è la sua prima intervista. La prima testimonianza dei suoi sette anni terribili anni.
Robert, puoi raccontare ai nostri ascoltatori la tua esperienza nel cercare per stranieri di Phonthong, a Vientiane?
Sono stato arrestato nel 1994 e dal momento del mio arresto sono rimasto in prigione un anno e mezzo prima di essere portato davanti ad un tribunale. Durante quel periodo ho avuto seri problemi con la salute, aggravati dal fatto che per me era molto difficile trovare qualcosa da mangiare. Il cibo che ci davano in prigione oltre che essere pessimo, era per me proibito. Io sono musulmano. Prima di ammalarmi avevo la possibilità di comprare qualcosa dallo spaccio interno del carcere, ma ovviamente la malattia mi ha impedito di uscire di cella e non avevo nessuno che potesse cucinare per me, né tantomeno ricevere la visita di un medico.
Che tipo di malattie hai sofferto durante la detenzione?
Ho perso completamente l'uso dell'occhio sinistro. Mentre ero ammalato di malaria il mio occhio si è infiammato, pieno di sangue. Non solo non mi hanno dato nessuna medicina, ma se si fossero accorti dello stato del mio occhio, mi avrebbero pure rimproverato. Dopo tre mesi grazie ad un programma speciale per i detenuti, sono andato in ospedale. Sono stato portato in ospedale per un totale di nove volte. Il medico che mi ha curato ha scritto una lettera alle autorità per chiedere loro di rimandarmi nel mio paese di origine. Devo dire che dal momento del mio arresto la mia famiglia non ha mai avuto mie notizie. Come credereste normale, io ho chiesto di poter avvertire i miei familiari, mandare loro un messaggio, di scrivere loro una lettera, ma questo non mi è stato permesso. Ritornando al momento in cui mi hanno portato in ospedale, il dottore che mi ha visitato nel 1999, circa cinque anni e sei mesi dopo il mio arresto, ha chiesto nuovamente di rimandarmi nel mio Paese. Per dare sostegno a questa richiesta, il medico ha mandato al ministro degli interni tutta la raccolta delle mie cartelle cliniche, ma dal ministero non è mai arrivata nessuna risposta a riguardo. Probabilmente la pratica si è fermata perchè io non avevo sufficienti soldi per accelerarne il corso. Tornato in prigione non avevo soldi per comprarmi le medicine. Da quello che so, dall'ospedale ne avevano mandate appositamente, ma io non le ho mai ricevute. In carcere è complicatissimo avere anche una semplice pasticca di Paracetamol per il mal di testa. In quella parte del sud est asiatico ci sono molte malattie, per cui a chi capita la sventura di finire in carcere è molto difficile sopravvivere senza medicine.
Puoi farci un quadro delle condizioni generali in cui si trovano i prigionieri del carcere di Phontong.
Le condizioni dei prigionieri del carcere di Phontong, come in tutte le carceri di quel paese, sono veramente dure perché non vi è nessun tipo di garanzia. La situazione è veramente al di fuori di qualsiasi tipo di legge. Ad esempio nel mio paese, se un prigioniero chiede di lavorare gli viene data una piccola paga con la quale si può comprare cibo e medicine. Ma questo a Phontong non ci è stato permesso. Ci hanno fatto lavorare ma senza avere nessun soldo. Gli altri, come me, erano in condizioni terribili. Mi ricordo che nessuno di noi poteva avvertire la famiglia. Nessuno di noi poteva ricevere aiuto dall'esterno. Non ci è stato permesso di comunicare con l'esterno ed eventualmente chiedere aiuto. Per ricevere una visita era necessario che l'eventuale visitatore facesse richiesta al Ministero degli Interni, richiesta che andava opportunamente spinta con soldi, che nessuno di noi aveva.
Ci puoi parlare delle pratiche di tortura sui prigionieri all'interno del carcere?
Vi vorrei raccontare la storia di un gruppo di ragazzi africani che circa dieci mesi prima del mio rilascio sono stati arrestati e trasferiti a Phontong. Una volta finiti in cella sono stati immobilizzati con dei ceppi di legno ai piedi, pesanti più di cinque chili, e selvaggiamente picchiati con dei bastoni attorno ai quali era stato avvolto del filo spinato. Dopo questo trattamento, per circa tre settimane questi ragazzi erano in condizioni pietose, tra la vita e la morte. Da allora sono stati rinchiusi in celle di isolamento da cui nei dieci mesi successivi non sono mai usciti. Questi cinque ragazzi sono stati arrestati perché erano di colore e giravano tutti insieme, e dato che il Governo, la dittatura comunista del Laos, sostiene che gli africani hanno un disegno sovversivo dell'ordine del paese sono finiti in carcere. Li hanno picchiati davvero, io non ho mai visto picchiare nessuno in quella maniera, così brutalmente in tutta la mia vita. C'era un sacco di sangue, avevano le gambe rotte, le caviglie spezzate, le braccia fratturate. Ovviamente non è stata data loro nessuna cura medica, tantomeno sono stati portati in ospedale, perché si sarebbero accorti delle torture. Non gli è stato concesso l'uso dei soldi in loro possesso al momento dell'arresto per potersi comprare qualche medicina all'interno del carcere. Gli unici prigionieri che potevano vederli, passando davanti alle loro celle, erano uomini di nazionalità cinese, vietnamita o tailandese. Parlando un'altra lingua però non avevano nessun modo di comunicare e dar loro alcun tipo di aiuto.
Robert, il carcere di Phontong dovrebbe essere un carcere per stranieri, ma durante la prigionia della pattuglia radicale c'erano anche molti detenuti laotiani. Che mi dici di questa stranezza?
Quando i radicali sono stati portati a Phontong si è subito sparsa la voce che erano lì per condurre una battaglia in favore del rispetto dei diritti umani. In quei giorni nel carcere c'erano molti prigionieri politici laotiani. Dopo quattro giorni dal loro arrivo sono scomparsi: sono stati portati via, sembra trasferiti in un carcere che viene chiamato l'"Isola" (1). Questa famigerata Isola, è la prigione dove vengono rinchiusi i laotiani, in gran parte prigionieri politici. Una volta che si viene trasferiti, la vita è segnata, è finita, perché da quello che si sa, in quel carcere non ti danno cibo, e non ce lo si può procurare da soli. La prigione di Phontong è molto meglio. Si vive molto meglio che negli altri carceri del Laos. Quando ti portano all'Isola non si sa più niente, non c'è possibilità di far avere loro un messaggio o di riceverne. Dal 1994, da quando sono stato arrestato, ho visto questi trasferimenti parecchie volte.
I Radicali sono venuti a Vientiane per fare una manifestazione per chiedere notizie di cinque studenti laotiani arrestati esattamente due anni prima (2)? Ne sai niente?
Sì, nel 1999 sono state arrestate diverse persone. I cinque studenti che manifestavo per i diritti umani e la democrazia in Laos sono passati da Phontong, ma sono stati subito trasferiti all'Isola. Di loro non abbiamo avuto più nessuna notizia. In quello stesso periodo sono stati arrestati anche quattro missionari di una associazione cristiana americana che si trovavano in Laos per motivi umanitari, con l'accusa di voler fare proselitismo.
Le Nazioni Unite sembra che eroghino cinque dollari per i pasti giornalieri di ogni singolo detenuto straniero. Cosa puoi dire su quest'altra stranezza?
Sì è vero: le Nazioni Unite danno cinque dollari al giorno per il vitto di ogni detenuto. Considerando però tutto quello che ci davano da mangiare, sia il riso che la zuppa con i tre, quattro pezzettini di carne galleggianti. Complessivamente il pasto quotidiano di un detenuto non costa più di una manciata di kip (3) e considerando il costo complessivo per tutti i detenuti di Phontong, non si arriva a più di 800 kip, più o meno sette dollari al giorno per il pasto di tutti i carcerati (4) contro i cinque dollari erogati dalle Nazioni Unite, ogni giorno per ogni detenuto.
Ora ti trovi all'estero, fuori dal Laos, ma posso chiederti quanti soldi hai dovuto pagare per poter uscire dal carcere?
La legge del Laos prevede per le persone che sono state condannate, che hanno quindi ricevuto il giudizio definitivo della corte, il pagamento di una cauzione di un milione di kip per ogni anno trascorso in carcere: per esempio, condanna a sei anni, sei milioni di kip da pagare all'uscita. Ovviamente si contano gli anni a partire dalla sentenza, non quelli passati in attesa di processo. Ed ovviamente se non si hanno i soldi, non si viene rilasciati. A Phontong ci sono molte persone che ancora non sono mai arrivate di fronte ad un tribunale, tra questi anche quei cinque ragazzi africani di cui ti ho accennato, che non hanno ancora avuto il permesso di avvertire i familiari o di mandare loro un messaggio. Quando io sono uscito, la maggioranza dei detenuti era di cittadinanza straniera, a parte tre laotiani, alcuni dei quali poliziotti già condannati e che quindi non saranno trasferiti.
Si parla di alcune persone morte in carcere...
Sì, per esempio il prigioniero anziano del nostro braccio, che era abilitato a svolgere alcune commissioni per i detenuti del nostro settore, fu incatenato con i ceppi all'interno della minuscola stanza da bagno della cella e ritrovato morto una mattina prima che lo portassero in ospedale. Durante il periodo che ho trascorso in carcere, mi ricordo di almeno cinque persone che sono finite in coma per i maltrattamenti e che sono morte. Quando chiedevano disperatamente di essere trasferite in ospedale, le guardie laotiane rispondevano loro "se stai mangiando, significa che stai bene, e quindi non sei in pericolo di morte. In ospedale che ci vai a fare?". Queste persone lentamente entravano in coma e poi spiravano. Mi ricordo di un altro ragazzo, giovanissimo, dello Sri Lanka che era stato arrestato perché gli era stato chiesto di pagare un conto di 1.300 dollari di telefonate che non aveva fatto. Anche lui è morto in prigione.
Cosa è successo dopo il rilascio dei militanti radicali? E come sei riuscito ad uscire dal carcere?
Non c'è stato nessun cambiamento. Io sono riuscito a dare dei soldi alla direzione del carcere per poter uscire. Se non avessi corrotto le guardie ora non sarei fuori dal Laos. Avevo scontato la pena da ormai tre mesi ma le guardie avevano perso il mio passaporto e quindi ho dovuto lottare per contattare la mia Ambasciata che non si trova in Laos, ma in Vietnam. Esaurita la pena però ho dovuto scrivere una lettera formale al Ministero degli Interni e a quello dell'Immigrazione perché mi fosse permesso di alloggiare nelle baracche esterne, al fine di contattare i miei amici per ricevere i soldi per pagare la cauzione di uscita. Fortunatamente sono riuscito a dimostrare che avevo un amico a Singapore con cui potevo prendere contatto per farmi mandare i soldi e quindi mi hanno permesso di stare nelle baracche. A quel punto però sono riuscito a scappare, con una barca in Tailandia, dove mi trovo ora. Ho attraversato il Mekong ma non ho potuto portare con me i miei effetti personali, le mie valigie, le cose che avevo con me in cella.
Note
1. A Vientiane infatti c'è un secondo carcere. Il carcere di Samkhe, altresì chiamato "l'isola" nel quale vengono detenuti i cittadini laotiani
2. Il 26 ottobre 1999 furono arrestati dopo una manifestazione nel centro di Vientiane Bouavahn Chanmanivong, Khamphouvieng Sisa-At, Thongpaseuth Keuakoun, Seng-Aloun Phengphanh e Keochay, cinque studenti del Movimento della Democrazia.
3. Kip: moneta corrente in Laos
4. Il carcere di Phontong può contenere fino a 120 detenuti.
Massimo Lensi m.lensi@agora.it