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La globalizzazione della democrazia

Testo: 

di Sandra Giovanna Giacomazzi

Che cosa unisce: il partito radicale transnazionale, che si riunirà a Tirana questa fine settimana; una delegazione italiana di politici, giornalisti, e comuni cittadini, che si recheranno invece a Gerusalemme; una professoressa pakistana, che vive a San Diego; e un fisico nucleare, che vive anche lui negli Stati Uniti?
Un agenda comune: la globalizzazione della democrazia. Che questa missione sia il filo conduttore delle mille tematiche solo apparentemente distinte e dispersive del partito transnazionale radicale è chiaro a chiunque segua anche con distrazione le iniziative del partito.
Dalla difesa della causa del Dalai Lama per l'indipendenza del Tibet dalla Cina alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica per la feroce repressione delle minoranze etniche dei Montagnards, in Vietnam, e dei Hmong, nel Laos.
Insomma un mandato politico planetario degno di quello ecologico proposto tanti anni fa da Buckminister Fuller col suo famoso ?World game project for spaceship earth'. Tirana o Gerusalemme, per me non è stato facile decidere fra le due destinazioni.
Come ho sentito dire da Arturo Gismondi su Radio Radicale, gli amici di Israele che andranno a Gerusalemme questo fine settimana per esprimere la loro vicinanza al popolo israeliano e per sostenere la democrazia e la pace in Medio Oriente, lo fanno con lo stesso spirito radicale di chi si troverà a Tirana per pianificare la democratizzazione mondiale.
E cosa centrano invece la professoressa pakistana e il fisico nucleare? Sono due testimonianze personali a conferma che la proposta di portare la democrazia in ogni angolo della terra non è un progetto di proselitismo prepotente, ma qualcosa voluta dai popoli oppressi che non possono esprimere liberamente le loro volontà politiche.

Un paio di settimane fa, ho portato una delle mie classi ad una conferenza sulle ?Donne in Nero'. Una degli speaker era appunto Huma Gosh, professoressa di Antropologia, Asian Studies e Women's Studies all'Università di San Diego. Lavora anche come consulente sociale per aiutare le immigrate asiatiche ad abituarsi alle nuove realtà sociali in cui si trovano negli Usa.
Gosh ha raccontato tutta la storia d'Afghanistan dall'indipendenza dalla Gran Bretagna in 1919 ad oggi, descrivendo tutti i periodi di progresso e regresso per quanto riguarda la situazione delle donne. Ha dipinto gli anni venti e gli anni settanta come i periodi più importanti in termini d'avanzamento dei diritti delle donne. Però ha spiegato che questi periodi sono anche stati seguiti da ferocissime ripercussioni che hanno fatto regredire il Paese ad uno stato molto peggiore di quello di prima delle riforme. Ci ha informato di questo per smentire le tanti voci che si sentono spesso in Occidente: che tante donne in Afghanistan vogliono tenersi il burqa, contente di usarlo perché le protegge o perché fa parte delle loro tradizioni.

Ha dichiarato che queste sono menzogne e che se le donne non abbracciano apertamente le loro nuove libertà e perché non sanno quanto dureranno e perché sanno che se non durano, chi si è mostrata di spirito libero, potrà anche finire pagando con la propria vita.
Ma il messaggio che più mi ha toccato, e che è più pertinente al nostro discorso, è il seguente: "Finché non ci sarà la separazione tra le autorità religiose e quelle dello Stato, non ci sarà speranza per i diritti delle donne in Afghanistan. Ciò che chiediamo all'Occidente, è che smettiate di pensare allo stato laico come un valore vostro. È vero, questa è la realtà delle cose, ma auspichiamo che diventi una realtà anche per noi". Sono stata commossa da queste parole e mi chiedevo che effetto avrebbero avuto sui miei studenti, perché questi erano gli stessi valori che avevo cercato di trasmettere loro.

Gli alunni mi chiedono sempre un titolo quando scrivo sulla lavagna. Il titolo quel giorno era "Privileges of western civilization". Ero anche molto toccata perché pochi giorni prima della conferenza avevo visto un'intervista della Cnn con un fisico nucleare iracheno che vive negli Stati Uniti da metà degli anni novanta. Gli facevano domande riguardanti la capacità di Saddam Hussein di procurarsi e utilizzare l'atomica. Dopo l'intervista, però, lo scienziato aveva un suo messaggio. Ha riferito che in qualunque modo si decida di rovesciare Saddam Hussein, l'importante è che sia istaurata presto un'autentica democrazia. Ha dichiarato: "Non c'è niente nel dna del popolo arabo che lo renda immune alla democrazia".

Data: 
Martedì, 29 October, 2002
Autore: 
Fonte: 
L´OPINIONE
Stampa e regime: 
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