L'Europa resta una grande passione di Emma Bonino (c'è da chiedersi d'altronde se vi sia una qualche attività che non svolga con dedizione assoluta). Dopo essere già stata due volte parlamentare europea, ed aver lavorato anche all'Onu per i diritti umani, divenne Commissario a Bruxelles nel '95, su indicazione del primo governo Berlusconi. La scelta all'inizio fu criticata, perché per far valere la sua candidatura, sostenuta da Marco Pannella con un pressing irresistibile, venne messo da parte un personaggio come Giorgio Napolitano. Era il settembre '94. Poi, insediata nella Commissione, nel giro di poche settimane lei conquistò tutti.
Sicché a Bruxelles ha lasciato un ricordo forte, insieme a molte immagini toccanti: Bonino a Tinghi-Tinghi fra i bimbi affamati del Ruanda rifugiati nel Congo, che lei ascolta e abbraccia con le lacrime agli occhi; Bonino a Kabul in una sua personale guerra contro il burqa e i Talebani, e negli occhi ha la rabbia di una donna vera che non tollera l'umiliazione, la sopraffazione, lo svilimento di nessun'altra donna e di nessun altro uomo al mondo; Bonino in Bosnia a riorganizzare i soccorsi europei. Nei quattro anni e mezzo in cui è stata nell'équipe presieduta da Jacques Santer (dal gennaio '95 al giugno '99), Emma Bonino ha lavorato molto bene. Un giornale con le ghette, il Financial Times, le dava anno dopo anno voti altissimi.
All'Europa ha offerto, al di là della passione, un grande senso politico, assai raro nel consesso del quale faceva parte. Il coraggio che testimoniavano le precedenti battaglie, anche se quelle italiane non è indispensabile condividerle tutte, l'ha riversato con semplicità nei dossier per i quali era Commissario europeo, sguainando la spada di Giovanna d'Arco in difesa dei derelitti del mondo intero ai quali portava gli aiuti umanitari dell'Unione. Ed era naturale che fosse tra i primissimi a denunciare la pulizia etnica in Bosnia; che si battesse per l'istituzione del Tribunale permanente sui crimini contro l'umanità; che dopo aver conosciuto le prigioni italiane e quelle newyorkesi, finisse per qualche ora, nonostante il suo rango europeo, anche nelle carceri afgane, quando andò a Kabul e denunciò le soverchierie inflitte alle donne (e a quei tempi tanto gli Stati Uniti quanto l'Europa, dei Talebani si preoccupavano poco).
Non era prevedibile invece che gestisse con tanta sapienza e autorità anche un altro dicastero di cui era titolare, quello della pesca, molto tecnico, poco avvincente, disseminato di trappole. Col piglio del condottiero, nel '95, guidò l'Europa nella guerra con il Canada per le catture nell'alto Atlantico di una sottospecie di sogliolona chiamata flétan, sconosciutissima in Italia sotto in nome di ippoglosso; di contro, durante il negoziato col Marocco del '97, convinse i pescatori spagnoli a ridurre il tonnellaggio delle loro prese, e parlando con brio e inventiva la loro lingua, li incantò talmente che alla fine la ringraziarono. Al porto di Barbate, da dove salpa la flotta spagnola per la pesca nell'Atlantico, c'è una targa di marmo in onore della Commissaria Emma Bonino.
Poi, nel 2001, la vocazione per il nuovo impegno. Le esperienze in Afghanistan, in parte anche in Bosnia, le discriminazioni per le donne, le vessazioni, le mutilazioni genitali di cui si era già occupata, l'hanno portata a studiare l'arabo e il mondo islamico, l'hanno portata al Cairo, a sostenere gli intellettuali democratici perseguitati nello stesso Egitto, a predicare il buon senso ai regimi arabi cosiddetti moderati, che soffocando la democrazia e le innovazioni politiche rischiano di lasciare campo soltanto al fondamentalismo. Dal Cairo a Baghdad, sarebbe un viaggio breve e tanto naturale da essere ovvio. Purché a Lussemburgo e New York (e a Washington) sappiano prendere una decisione saggia. Ma innanzitutto deve essere Silvio Berlusconi a sostenere la candidatura di Emma Bonino: una bandiera dell'Italia che potrebbe precedere i nostri carabinieri in Iraq.
Antonio Foresi