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All'Iraq servono acqua e luce, ma soprattutto idee

Testo: 

SOSTIENE BONINO. PER L'EX COMMISSARIO EUROPEO L'OCCIDENTE USA SCHEMI INTERPRETATIVI SUPERATI

Ci sono segnali di cambiamento in tutto il mondo arabo: adesso aiutiamoli a costruire istituzioni forti

Se si volesse dare un aggettivo all'emergenza umanitaria in Iraq si potrebbe dire che è di tipo kosovara. Dunque assai diversa da quelle viste in Africa con giganteschi campi profughi da 500 mila persone, epidemie gravi, carenza drammatica di cibo. L'Iraq non è questo. Perché è un paese «seduto» sul petrolio, ancorché massacrato dal regime di Saddam Hussein che ha trasformato l'Oil for food in Oil for palace e da oltre decennio di embargo internazionale.
L'Iraq è un paese che deve essere aiutato a rimettersi in moto. Le emergenze ci sono, certo, ma attengono essenzialmente l'acqua, l'assistenza sanitaria, l'energia elettrica. E non sono uniformemente distribuite nel territorio. Di certo, poi, non saranno di lunghissima durata. E' la diagnosi di Emma Bonino, ex commissario europeo agli aiuti umanitari, che del dopoguerra iracheno offre oggi una interpretazione politicamente originale, alla ricerca di quelli che chiama i «segnali» di cambiamento che provengono da diversi paesi arabi, Yemen, Egitto, Palestina, Arabia Saudita.
«Segnali - dice in una conversazione con il Riformista -, che fanno capire come stia girando un'aria nuova, grazie al fatto che una finestra, anche se dalla guerra, è stata rotta». Segnali che un mondo pigro a mutare gli schemi interpretativi fa fatica a cogliere, affidando la politica estera ancora a «strumenti obsoleti»: qualche embargo, un po' di realpolitik, un sostegno più o meno esplicito al dittatorello di turno.
«Quando, piuttosto, bisognerebbe impegnarsi nell'aiutare quei paesi alla costruzione di istituzioni forti. E poi - spiega - continuo a non capire perché non si pensa di nuovo, dopo la chiusura decisa da Margaret Thatcher, ad una Bbc in arabo. La vedrebbero 200 milioni di arabi, per i quali sarebbe l'alternativa ad Al Jazeera. Dando spazio e credito a opzioni politiche democratiche». A far circolare idee. Perché è proprio carenza di democrazia, accanto al gap tecnologico ed educativo, e all'esclusione delle donne dalla vita sociale, la ragione principale del ritardo in termini di sviluppo del mondo arabo.
La fine della guerra, il possibile inizio di una nuova stagione in Iraq, sembrano offrire oggi a gran parte del medio oriente la possibilità di una fuga in avanti. Le resistenze - che ci sono - appaiono decisamente più deboli. Il clima «diverso» è fatto di episodi concreti che elenca la Bonino: durante il conflitto, la Giordania ha annunciato le nuove elezioni del Parlamento sciolto circa due anni fa; in Palestina, al termine di un braccio di ferro politico, è stato scelto il Primo ministro e una delegazione palestinese andrà nello Yemen per imparare ad organizzare le elezioni; nello Yemen, appunto, si vota il 27 aprile e per la seconda volta lo faranno anche le donne che sono il 40% dei registrati.
Altri segnali: in Egitto, Mubarak ha annunciato a dicembre che il 7 gennaio sarebbe stato celebrato il Natale copto e così e stato; sempre in Egitto per la prima volta una donna è entrata a far parte del Consiglio della magistratura.
Non è di poco conto, inoltre, il discorso dello stesso Mubarak di alcuni giorni fa, quando ha sostenuto che la Lega araba deve cominciare a pensare di decidere a maggioranza e che è un errore il bassissimo interscambio commerciale interarabo (solo l'8%). Finita la guerra, ancora in Egitto, il comitato promotore di una manifestazione pacifista ha modificato l'ordine del giorno della sua riunione per discutere intorno alla necessità di avviare un percorso di riforme interne.
«Non c'è più un commentatore arabo - prosegue Bonino - anche tra i più anti-americani che non trovi sempre il modo per sostenere la necessità che quest'area del mondo si avvii verso le riforme. E il resto del mondo deve fare un'operazione decente per saper leggere quello che sta accadendo. Cambiando i criteri e le chiavi interpretative. Basti pensare che in Iraq si aspettavano tutti uno scontro tra sciiti e sunniti e, invece, il dissenso è all'interno del pluralismo sciita, tra i filo iraniani e gli altri».
Per concludere uno sguardo all'interno, al nostro paese. «E' stata un'occasione persa da entrambi gli schieramenti quella di non sostenere una proposta politica "altra", a favore dell'esilio di Saddam e di un nuovo ruolo dell'Onu. Questo per me è un grandissimo rammarico».

Data: 
Sabato, 19 April, 2003
Autore: 
Fonte: 
IL RIFORMISTA
Stampa e regime: 
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