INTERVENTO/ Perché va appoggiata la moratoria internazionale proposta dall'Italia
di MARCO PANNELLA
Visti i precedenti, non avevamo dubbi sul tipo di accoglienza che avrebbe avuto in Europa la proposta italiana di presentare una risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni capitali alla prossima Assemblea Generale dell'Onu. Nel 1994, quindici Paesi abolizionisti europei si astennero e la risoluzione presentata dal governo italiano fu sconfitta per soli otto voti. Nel 1999, l'Unione - a parte l'Italia dell'Ambasciatore Paolo Fulci - si arrese senza combattere: per paura di perdere, ritirò la risoluzione che aveva presentato. I nostri avversari cantarono giustamente vittoria. L'Europa dei diritti umani ha regalato al mondo almeno dieci anni in più di esecuzioni capitali. Ma il tradimento di fatto dei condannati a morte non sembra ancora finito. «Non è il momento», «non ci sono i numeri», «si rischia di fare un passo indietro sulla via dell'abolizione», sono stati gli argomenti del fronte del «no» alla proposta annunciata prima da Gianfranco Fini, ribadita da Silvio Berlusconi e formalizzata da Franco Frattini al primo Consiglio europeo di presidenza italiana. Sembra che in Europa debba circolare solo l'opinione corrente che si ha dell'Italia: un Paese dove è al potere un governo parafascista e dove comanda Silvio Berlusconi, uno che ha a cuore solo i suoi problemi con la giustizia e non deve avere certo a cuore la sorte di chi rischia di essere giustiziato.
Che sia in ballo un pregiudizio ideologico o un limite reale, sarebbe comunque grave che il governo non ne prendesse atto e non decidesse anche per questo di rilanciare sulla moratoria Onu. La risposta «non ci sono i numeri» non può essere accettata. Ai partner europei occorre chiedere quali sono i loro dati, le loro previsioni di voto. Per noi i numeri a favore della moratoria ci sono: i Paesi membri dell'Onu sono 191; 89 sono quelli che dal 1997 a oggi hanno già cosponsorizzato in sede Onu una risoluzione per la moratoria; a questi vanno aggiunti almeno altri 6 stati che hanno già votato ripetutamente per la moratoria alla Commissione diritti umani, e siamo a 95; altri 5 stati, dopo i recenti cambiamenti politici, potrebbero votare a favore: ad esempio, il Kenya che lo ha già annunciato. Saremmo a 100, la maggioranza assoluta dei paesi ONU, una maggioranza che non potrà mai essere intaccata dai «no», se si considera che ci saranno una ventina di Paesi indecisi che si asterranno. Nel '94, quando perdemmo per otto voti, i Paesi Onu mantenitori della pena di morte erano 97, 33 in più rispetto a oggi.
Alcuni giorni fa abbiamo chiesto ad Amnesty-Londra di sapere se è favorevole o no alla moratoria all'Onu nel 2003. «In Assemblea Generale ci sono troppi Paesi ostili alle questioni dei diritti umani, in particolare sulla pena di morte», è stata la risposta. «Il nostro obiettivo è vedere adottata in una sessione futura dell'Assemblea Generale una risoluzione che chiede l'abolizione mondiale della pena di morte», ha aggiunto. Questo è il punto! Non solo non sono maturi i tempi, è messo in discussione pure l'obiettivo. La moratoria non viene neanche nominata: o l'abolizione o niente.
Ci risiamo. Come nel '94 e nel '99, si manifestano i nostri avversari, che sono i fondamentalisti dei due fronti: i Paesi mantenitori della pena di morte (Egitto e Singapore in testa) e i «duri e puri» che la vogliono abolire tutta e... dopo. «La pena di morte viola il diritto alla vita», è la petizione di principio sacrosanta e vuota. «L'abolizione mondiale della pena di morte», è la parola d'ordine da portare in Assemblea Generale. Quando? «È un processo storico quello in corso e non potrà essere compiuto dall'oggi al domani», ci informa Amnesty-Mondo. Petizioni di principio, buone intenzioni e tempi lunghi di chi ha l'Assoluto come tema e la Storia come prospettiva! E' esattamente il contrario di quello che abbiamo fatto in questi anni: cercare di tradurre in tempi politici i tempi storici dell'abolizione.
C'è un nesso diretto tra la nostra «provocazione» all'Onu del '94 e le 33 abolizioni, moratorie legali e di fatto che pure ci sono state nel corso degli ultimi anni. Abolizioni e moratorie hanno potuto salvare migliaia di vite e altre ancora se ne potrebbero salvare, se il meglio della futura, assoluta e perenne abolizione della pena di morte non venisse giocato come nemico del bene «provvisorio» della sua immediata sospensione, cioè contro la moratoria delle esecuzioni.
Lo sappiamo: la moratoria è un compromesso con la pena di morte, un «compromesso» sul quale occorrerebbe forse sentire il parere dei condannati a morte. Non solo di quelli americani che conosciamo e possono parlare, ma anche degli innominati, i disperati, gli «infami» della pena di morte: i detenuti nei bracci della morte cinesi, iraniani, palestinesi, cubani che muoiono ammazzati nel silenzio e nell'indifferenza generali.
* Presidente e Segretario di «Nessuno tocchi Caino»