Per capire qualche cosa di una almeno delle cause del declino industriale italiano conviene studiarne a fondo un episodio emblematico, quello dello stabilimento Alfa Romeo di Arese, cui sono dedicati due capitoli dell'ultimo libro del nuovo segretario generale della Fiom-Cgil di Milano, Maurizio Zipponi (Si può!, editore Mursia).
Lo stabilimento di Arese da anni brucia miliardi; la Casa madre Fiat, in grave difficoltà su molti fronti, decide di chiuderlo. I mille operai rimasti (erano 15 mila vent'anni fa, ai tempi deU'Iri) si oppongono e difendono l'insediamento industriale con le unghie e coi denti.
Qual è la ragione (iella loro lotta? Non il timo-re della disoccupazione: Arese è nel cuore di una zona nella quale centinaia di imprese cercano migliaia di operai senza trovarli. Senonché la diaspora verso le altre aziende non è accettabile perché ? spiega Zipponi ? significherebbe lasciare che a decidere della sorte dell'auto italiana siano i meccanismi ciechi del mercato; ai quali la Fiom contrappone invece un grande proget-to centrato sull'idea dell'auto ecologica, possibile a suo dire con una cospicua iniezione di capitale da parte dello Stato (poco importa che l'Unione europea non consenta più operazioni di questo genere, considerandole «aiuti di Stato»). Ma accettare di andarsene non si può, anche perché significherebbe la dispersione di un gruppo di operai unito e solidale; significherebbe accettare che qualcuno andrà a star meglio, qualcuno a star peggio; significherebbe, soprattutto, cercare la soluzione ciascuno per conto proprio. Lo diceva già don Milani: «Sortirne da soli è l'egoismo; sortirne insieme è la politica».
A dire il vero, per «sortirne insieme», senza ri-nunciare alla solidarietà con i più deboli e senza tornare all'esperienza fallimenlare delle parteci-pazioni statali, ci sarebbe anche un altro modo: quello di un sistema capace - come nel nord-Europa - di garantire ai mille di Arese servizi efficien-ti di informazione e orientamento, di assistenza intensiva, di riqualificazione professionale mirata, che consentirebbero di ricollocarli in poco tempo dal primo all'ultimo, con un rilevante incentivo economico per tutti e un congrua indennizzo ulteriore per coloro che da questo passaggio risultassero penalizzati. Ma da noi questa soluzione viene rifiutata: dunque, tutti in Cassa integrazione per anni, blocchi stradali, fejroviari e persino aeroportuali, liti giudiziarie a non finire.
E non si pensi che sidla trincea del rifiuto stia solo la Fiom-Cgil di Zipponi: ci sta anche, in qualche misura, l'amministrazione comunale milanese di centrodestra, che conferisce ai mille operai di Arese l'«Ambrogino d'oro»; ci stanno i giudici del lavoro che ordinano la riapertura di uno stabilimento ormai inesistente; ci sta la Curia arcivescovile ambrosiana, la cui pastorale del lavoro sembra anch'essa dare per scontato che quegli operai possano essere rioccupati soltanto negli stessi capannoni dove hanno lavorato per decenni. Come si spiega questo fenomeno, tutto italiano, di egemonia culturale e politica dell'ala sinistra sindacale, estesa ben al di là dei confini dello stesso movimento sindacale?
Le sue cause sono molte: prima fra tutte l'incapacità del nostro ceto politico di rendere credibile nei fatti un'idea più moderna del funzionamento del mercato del lavoro. Ma un'altra causa, non secondaria, va cercata nella tensione etica e nella genuina passione politica che animano i protagonisti delle lotte operaie del tipo di questa e che emergono in modo vivido dal libro di Zipponi, come dalla stessa figura dell'autore. Tensione e passione che, nel vuoto di idee forza alternative in materia di politica del lavoro, suscitano simpatia e consenso, a sinistra ma talvolta anche in una destra insofferente delle regole europee, nostalgica di un regime in cui le magagne della nostra industria potevano essere nascoste dagli aiuti di Stato.
Il fatto è che alla destra italiana manca una Thatcher capace di affrancarla dal populismo e dallo statalismo praticati per decenni dalla Dc con l'appoggio esterno del Pci. E alla sinistra italiana manca un leader capace di coinvolgere gli Zipponi e i tanti altri appassionati dirigenti della Fiom-Cgil nella costruzione di un sistema moderno di welfare e di workfare di tipo nord-europeo, distogliendoli dalle strategie senza futuro nelle quali essi oggi si stanno perdendo.
Pietro Ichino