In attesa di una soluzione alla vicenda umana e politica di Adriano Sofri i fari sono puntati sul Colle più alto. «E' ora che Ciampi intervenga»
E ora si attende che il Quirinale batta un colpo. Di grazia. I fari sono sempre puntati sul Colle. Si guarda a Ciampi. L'unico - concordano i giuristi - a cui spetta il compito di dare soluzione a una vicenda ormai di esclusiva pertinenza giuridica. Nessun potere "duale". Quella della grazia è un'esclusiva competenza del Capo dello Stato. Lo dice il diritto. Lo conferma la dottrina. E' stato scritto nero su bianco nell'articolo 87 della Costituzione.
La "bagarre" politica sollevata dalla legge Boato, bocciata dal centrodestra alla Camera, era una proposta estrema ma - come hanno sottolineato costituzionalisti di primo piano - «non necessaria». «Dopo 31 anni - si chiede Marco Pannella - il persistere della detenzione di Sofri è compatibile con il diritto?». In definitiva «serve o no?». Non è più una battaglia che dà sostegno «alla tesi innocentista». Il punto è un altro. Si tratta di «prendere atto - scriveva anche Folli su un editoriale del 13 luglio scorso - che il detenuto di Pisa è un uomo diverso, 31 anni dopo l'omicidio Calabresi». Per questo Ciampi ha tutto il potere di concedere quella grazia. A luglio - si legge su una documentazione messa "on line" sul sito dei Radicali che continuano la loro campagna per l'ex leader di Lotta Continua - il Quirinale, in un comunicato, ha sostenuto una tesi "ambigua". «Non esiste nel nostro ordinamento - diceva la nota - un potere autonomo di grazia del Capo dello Stato: come per gli altri atti del Presidente della Repubblica, anche per la concessione della grazia è indispensabile - a norma dell'art. 89 della Costituzione - la proposta del Ministro competente».
Eppure sono in molti, da giuristi a intellettuali, costituzionalisti e uomini politici a sostenere il contrario. «La grazia - è tornato a ripetere ancora ieri sulle pagine di "Liberazione" Gianni Ferrara, professore di diritto costituzionale a "la Sapienza" - è un atto su cui non vi può essere alcun dubbio, stante il chiaro disposto della Costituzione che attribuisce appunto al presidente questo potere». Anzi, qualora il ministro della giustizia non volesse controfirmare quell'atto, il presidente potrebbe benissimo sollevare un conflitto di attribuzioni innanzi alla corte costituzionale. Sbaglia anche Fassino a sostenere la "dualità" di un atto "esclusivo". «Alcune attribuzioni presidenziali - aggiunge un altro giurista, Michele Ainis dell'università di Teramo - non possono essere sottoposte alla volontà dell'esecutivo, e l'attribuzione della grazia mi pare proprio che faccia parte di queste attribuzioni. Tanto è vero che la dottrina costituzionalistica italiana ha elaborato a partire da Mortati una tripartizione degli atti del Capo dello Stato». «La detenzione di Sofri - ha aggiunto Ainis - non pone un problema di legalità formale, ma si potrebbe osservare che la pena dovrebbe avere una funzione rieducativa, e se questo è già avvenuto, cosa che mi pare evidente per Sofri, la pena perde la propria funzione costituzionale».
La grazia a Sofri ha incrinato rapporti di ferro come quello del premier con Giuliano Ferrara. E il direttore del "Foglio" ieri è tornato a schierarsi senza se e senza ma con il leader dei Radicali che ha preannunciato a fine marzo un nuovo sciopero della sete. «Noi - si legge sul "Foglio" - saremo dalla parte dell'assetato in ogni modo possibile. Non è un'impuntatura. E' una lunga e convinta battaglia contro un ostruzionismo incomprensibile, contro sciatteria di ogni colore e qualità, che non ha niente a che vedere con salotti che non si frequentano e amicizie lobbistiche estranee a chi lo sostiene». Ma il ministero della Giustizia è in mano a Castelli e Berlusconi fa Ponzio Pilato. A questo punto la "svolta" può provenire solo dal Colle.
Castalda Musacchio
c.musacchio@liberazione.it