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Sentenze di civiltà

Testo: 

La sentenza del Tar del Lazio sulla diagnosi pre­impianto fa pensare come, alla situazione di inadeguatezza legislativa del nostro Paese sui grandi temi etici, rimediano le coraggiose decisioni dei giudici, che richiamano i valori originari della nostra Costituzione, in difesa dei diritti fondamentali dei cittadini e in risposta ai loro nuovi valori.

A ben riflettere è successo più di una volta, ultimamen­te. Lo scorso 16 ottobre, la Corte di Cassazione ha ria­perto il caso di Eluana Englaro (la ragazza in stato ve­getativo da 15 anni, per la quale il padre chiede di po­ter sospendere i trattamenti che la tengono in una vita artifi­ciale) richiamandosi all'articolo 32 della Costituzione, che trat­ta del diritto alla salute e all'articolo 13, che riguarda la libertà personale di tutti i cittadini. La sentenza del Tribunale di Ca­gliari che il 24 settembre dello scorso anno ha legittimato la dia­gnosi pre-impianto richiesta da una donna portatrice di talassemia, è stata motivata dal fatto che il diritto alla salute della fu­tura madre e quello dell'informazione per tutelarla, garantita dalla Costituzione, prevalgono sul divieto della legge 40.

Complimenti ai magistrati che ancora dimostrano di spin­gersi nel terreno della difesa delle idee, là dove il Parlamento non arriva neppure a muoversi. Anche dietro questa ultima sentenza c'è una decisione di grande civiltà. I giudici hanno ca­pito che la diagnosi pre-impianto è una straordinaria opportu­nità a favore della vita, che nasce per permettere a un uomo e una donna, minacciati da una malattia genetica, di poter aver un figlio sano. Già oggi sono 30.000 i bambini che nascono con malformazioni genetiche e il numero è destinato ad aumenta­re per le nuove caratteristiche della maternità.

Le donne tendono ad avere il primo figlio in età avanzata, quando il rischio di malformazioni aumenta. Dobbiamo poi te­nere conto che l'aver figli diventa più difficile in generale, per il calo della fertilità del maschio, che ha meno spermatozoi, e le mutate abitudini di vita della donna. Questo significa che il ri­corso alla fecondazione assistita diventerà sempre più ampio e la legge 40, era nata proprio per facilitare le coppie che, sem­pre più numerose, si trovano ad affrontare il percorso non fa­cile dei bimbi in provetta. In particolare la diagnosi pre-im­pianto è la via più intelligente per non chiudere la via della pro­creazione a chi ha difetti genetici. O, ciò che è ancora peggio, per non condannarlo alla decisione dell'aborto terapeutico nel caso la malattia venga scoperta nel feto durante la gravidanza. Una scelta psicologicamente drammatica, oltre che fisica-mente traumatica per la donna.

La diagnosi pre-impianto permette la scelta, tra gli embrio­ni prodotti in vitro, di quello che non porta il seme della malat­tia, per impiantarlo. Che vuoi dire la certezza di un figlio sano e che nulla ha a che vedere con l'eugenetica. Anzi, pare persino una crudeltà vietarla. Anche Renato Dulbecco ha ammonito che nei casi di portatori di malattie genetiche il concepimento naturale può essere una condanna a morte, se nell'embrione sono presenti tare ereditarie. Si può, per ragioni ideologiche, non applicare una conoscenza scientifica che aiuta la vita e il diritto a procrearla? Con la loro sentenza i giudici del Tar sem­brano aver risposto di no e con questa risposta ci allineano agli altri Paesi europei, dove la diagnosi pre-impianto è routine. In Gran Bretagna è addirittura consigliata per le donne che han­no una gravidanza dopo i 40 anni. C'è da sperare, come sem­bra, che questa sentenza smuova davvero le acque per una re­visione della costituzionalità delle linee guida della legge 40, per evitare la penosa migrazione delle coppie in cerca di figli, verso i Paesi dove la legislazione è adeguata. Non dimentichia­mo che solo nell'anno 2006 è quadruplicato, (passando da poco più di mille a oltre 4000) rispetto al periodo precedente al­l'introduzione della nuova legge 40/04, il numero delle coppie italiane migrate all'estero per effettuare la fecondazione assi­stita. Una migrazione che penalizza le coppie meno abbienti e relega l'Italia a un ruolo di Paese civilmente arretrato.

Data: 
Giovedì, 24 January, 2008
Autore: 
Umberto Veronesi
Fonte: 
LA REPUBBLICA
Stampa e regime: 
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